Sanremo, il Festival della Cirinnà: chi non è “arcobaleno” resta invisibile

11 Feb 2016 15:10 - di Gloria Sabatini

I tre colori della bandiera nazionale no. Guai a esibirli (neanche nel Giorno del Ricordo del genocidio dei giuliano-dalmati infoibati con l’unica colpa di essere italiani),  per i registi della grande kermesse canora di Sanremo, evidentemente, sarebbe stata una scelta “retorica” e non abbastanza à la page. Così dal Palco dell’Ariston è stato un tripudio di nastri arcobaleno svolazzanti tra le mani degli artisti “sensibili” alla causa gay. Quasi tutti. Per chi ha fatto una scelta diversa fischi e schiaffoni. Il pressing mediatico a favore della legge Cirinnà sulle adozioni gay passa anche per il Festival di Sanremo che diventa un formidabile megafono, messaggi espliciti e subliminali che arrivano dritti dritti nelle case degli italiani. Per chi non ha seguito la vicenda parlamentare, per chi non ha tempo con i quotidiani e con i telegiornali, la vulgata gender è assicurata.

L’arcobaleno che svolazza a Sanremo

Lo ha fatto Arisa, che ha esibito al polso i 7 colori dell’orgoglio gay e ancora Noemi, Enrico Ruggeri (quoque tu), Irene Fornaciari che hanno appeso il fiocco arcobaleno al microfono, più originale Sergio Carnevale che ha infilato il nastro arcobaleno nel taschino a mo’  di pochette. Non si è sottratto al rito pro gay neppure Eros Ramazzotti, l’ex ragazzo di periferia che ha sedotto il mondo ha voluto (o dovuto) inserire al termine del suo medley di grandi successi un passaggio sulla famiglia “aperta”. «L’importante è fare famiglia, qualunque essa sia». Ce n’era bisogno? Perché questa ossessione, questa coda di paglia per non disturbare l’orgoglio omosessuale? Perché di questo si tratta, visto che gli omosessuali che non esibiscono come una medaglia al valore le proprie legittime scelte sentimentali e sessuali sono i primi a fuggire dai riflettori che ne vorrebbero fare una categoria sociale a sé, quasi animali da circo tutto paillettes e lustrini. Una lobby che è la prima a discriminare gli altri, gli antichi e trinariciuti eterosessuali.

Il pressing per la legge Cirinnà

Eros insomma ha recitato il copione politicamente corretto di Sanremo che quest’anno prevede la solidarietà per gli omosessuali e l’outing pro gay. Dopo l’esibizione di Elton John, con fede fiammeggiante al dito e il saluto al figlio avuto con il suo compagno grazie all’utero affittato da una donna che ha nesso sul mercato il proprio corpo, è arrivata la splendida Nicole Kidman che, tra l’altro ha avuto una figlia da una “madre surrogata”. Non che sia stata invitata per questo, ma nel suo profilo è un dettaglio che non guasta alla causa. Lo sventolìo arcobaleno degli artisti accompagnerà i telespettatori fino a sabato. E chissà cosa riserverà la regia sanremese per lo spot finale con il vincitore.

L’eretica Patty Pravo

Una scelta libera, per carità, qualche campione non lo ha fatto. L’idea del kit arcobaleno arriva da Pechino, un modo per esprimere la protesta comune «contro le disuguaglianze, che non ha partito né colore, se non quello dell’amore». Insomma, dicono esplicitamente, per far presente alla nostra classe politica che l’amore ha gli stessi diritti per tutti. E quel furbacchione di Carlo Conti, ottimo e  ben navigato padrone di casa, spiega che la campagna è solo a difesa dei diritti civili. Non sembrerebbe. Insomma, chi non ha indossato il nastrino con i colori dell’iride è contrario ai diritti civili, è un razzista, omofobo e anche un po’… fascista. Ed è già pronta la lista di proscrizione: Dj Francesco è stato insultato per aver scritto su Twitter di essere irritato dall’ostentazione del sostegno dei diritti della coppie gay. Ma al primo posto c’è l’inarrivabile Patty Pravo. L’ex ragazza del Piper non ha voluto rovinare il suo vestito color bronzo con il nastrino. O forse non condivide la Cirinnà, ma nessuno gliel’ha chiesto…

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