Grasso come don Abbondio? 40 senatori si ribellano al loro presidente

4 Feb 2016 15:17 - di Redazione

Quaranta senatori hanno annunciato di voler presentare un ricorso per conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale, perché sarebbero stati violati i loro diritti di parlamentari a causa del mancato rispetto delle normali procedure parlamentari nell’esame del ddl Cirinnà sulle unioni civili. Il ricorso è stato presentato in una conferenza stampa da Carlo Giovanardi, primo firmatario, Gaetano Quagliariello, Luigi Compagna, Massimo Mauro, Andrea Augello che hanno criticato il ruolo del presidente Pietro Grasso. Secondo i senatori ricorrenti l’iter del ddl Cirinnà ha violato l’articolo 72 della Costituzione, il quale prevede che ogni disegno di legge sia esaminato prima in Commissione e poi in aula. Nel caso delle unioni civili invece la commissione Giustizia non ha esaurito l’esame che è stato concluso senza mandato al relatore. In particolare sul ddl Cirinnà, che è stato congiunto a quelli in precedenza depositati, non c’è stata alcuna discussione in Commissione. Di qui il ricorso perché i singoli parlamentari, in quanto rappresentanti del popolo, non hanno potuto svolgere la loro funzione assegnatagli dalla Costituzione. Grande accusato è il presidente Grasso che è colui che deve assicurare la legittimità delle procedure del Senato. Giovaradi ha detto di aver sollevato la questione con Grasso sia con una lettera che in aula. «Abbiamo messo lì – ha detto Mario Mauro – uno che non sa fare l’arbitro». «Grasso – ha affermato Compagna – nemmeno ci prova a fare l’arbitro e dà la sensazione della contiguità». «Grasso – ha ricordato Quagliariello – è stato eletto dal Pd e da M5s; faccio appello a lui perché tuteli i diritti delle minoranze, specie di quelle che non lo hanno eletto». «Sono pessimista – ha detto in proposito Augello – perché la figura del presidente non lascia sperare vista la fibra che ricorda quella di don Abbondio».

Grasso sotto accusa per motivi procedurali

Mauro ha poi detto in aula: «Il ddl Cirinnà non è una norma sulle unioni civili bensì una legge civetta. La nuova figura giuridica poteva essere inquadrata sulla base della sentenza della Corte Costituzionale che delimita il perimetro delle unioni civili all’interno dell’art. 2 della Costituzione sulle cosiddette formazioni sociali. Per la Consulta – ha proseguito – i diritti delle persone vanno tutelati dentro le formazioni sociali, ma soltanto la famiglia fondata sul matrimonio ha invece una sua intrinseca peculiarità. Il ddl Cirinnà, anziché creare una nuova formazione sociale, ha creato un para-matrimonio. Ha preso cioè le norme riferite al matrimonio e le ha trasferite al sistema delle unioni civili. Come ciliegina sulla torta, il sottosegretario Ivan Scalfarotto ha precisato in un’intervista su Repubblica che le unioni civili del ddl Cirinnà sono un matrimonio, solo che le si chiamano in modo diverso per realpolitik».

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