Trieste, niente minacce né bullismo dietro il tentato suicidio della bambina
Non sarebbero state trovate tracce di minacce o riferimenti a particolari aggressioni fisiche, esplicite manifestazioni di pericolo o di bullismo su cellulari, pc e tablet utilizzati dalla dodicenne di Pordenone che due giorni fa tentato il suicidio lanciandosi dalla finestra di casa, al secondo piano.
E’ quanto emerge dai rilievi effettuati dalla Polizia Postale di Trieste sul tentato suicidio della ragazzina dodicenne – figlia unica di una famiglia che vive per lei – che si è lanciata dalla finestra della sua abitazione di Pordenone riportando gravi ferite.
Gli investigatori hanno invece notato una sorta di spaccatura nel gruppo di ragazzini che facevano parte della classe delle ragazzina che ha tentato il suicidio: tra quelli più inseriti e maggiormente rispettati dai compagni e coloro che, secondo la definizione della stessa ragazzina, facevano parte degli “sfigati” e quindi venivano in qualche modo emarginati.
Gli agenti di polizia tenderebbero anche ad escludere che qualche adulto sia venuto a conoscenza delle inquietudini così profonde della ragazzina, che avrebbe invece condiviso il suo stato d’animo e il suo desiderio di tentare il suicidio solo con un paio di amiche più strette.
Con loro la bambina si sarebbe sfogata annunciando l’intenzione di farla finita con il suicidio e in questo senso avrebbe anche girato un brevissimo filmato della finestra della sua stanza, quella stessa dalla quale si sarebbe lanciata successivamente.
Questi sfoghi, però, secondo quanto si è appreso, non sarebbero stati presi realmente sul serio dalle compagne, le quali tuttavia più volte hanno insistito con la dodicenne perché non mettesse in pratica propositi suicidi.
L’idea maturata negli investigatori è che le amichette potessero ritenere che la dodicenne volesse solo condividere sensazioni dolorose e non annunciare un reale suicidio progettato nel dettaglio.
Invece, la dodicenne avrebbe anche fatto ricerche in internet sul suicidio per capire da quale altezza bisogna lanciarsi nel vuoto per avere la certezza di perdere la vita.
Nella fase pratica, invece, la ragazzina non avrebbe avuto la forza psicologica per lanciarsi di testa – gesto che l’avrebbe portata quasi sicuramente alla morte – ma è prevalso l’istinto di sopravvivenza ed è caduta con i piedi in avanti, come testimoniato dalle fratture ai talloni.
Quanto alla scuola, presidi e professori dicono, concordi, di non aver mai avuto sentore di episodi di bullismo né del disagio della dodicenne che, tuttavia, faceva numerose assenze a scuola. Ma qui resta da capire cosa dicesse ai genitori – la mamma dipendente di una struttura per anziani, il padre operaio in una fabbrica della zona – per sottrarsi alle lezioni. L’unica notazione è in queste assenze ripetute all’interno di un contesto, la classe – venti alunni di cui sette stranieri – che la preside definisce «forse un po’ più turbolenta della media». Di certo c’è che la scuola aveva messo a disposizione degli studenti uno sportello di ascolto con una psicologa. Che, però, non è stata in grado di intercettare il disagio della dodicenne. Né di intuire i propositi suicidi della giovane.