Adozioni e nozze gay? È la Costituzione “più bella del mondo” a dire no

30 Gen 2016 13:43 - di Lando Chiarini

E ora per piacere non diciamo che la moltitudine dilagata al Circo Massimo per il Family day è l’Italia dei vescovi, dell’arretratezza civile e dell’ipocrisia clerico-moderata. Certo, le gerarchie ecclesiastiche fanno il loro mestiere, ma con minor lena rispetto al passato e stando più al traino che alla guida di associazioni, movimenti e partiti. Renzi e i fautori delle unioni civili si chiedano piuttosto se tanta gente si sarebbe mai mobilitata se non avesse percepito come terribilmente seria la minaccia all’istituzione familiare. Fossimo noi tra i paladini della causa delle nozze omosessuali e della stepchild adoption, saremmo già belli e convinti che più del cardinal Bagnasco è il sentimento generale dettato dal diritto naturale a rendere posticcia e in fin dei conti “ideologica” la loro pretesa di estendere alle coppie gay le tutele matrimoniali e la possibilità di adottare bambini. Perché di questo si tratta, non di abbattere odiose discriminazioni in danno degli omosessuali, obiettivo per altro già noto all’articolo 3 della nostra Costituzione che impone alla Repubblica di assicurare «pari dignità sociale» a tutti i suoi cittadini «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
In realtà, il limite giuridico che ci costa l’accusa di “arretratezza” da parte dei soliti trasgressori da salotto scatta solo quando il ddl Cirinnà pretende di scambiare lucciole per lanterne e innalzare a dignità di matrimonio l’unione omosessuale, seppur annacquandola nella orripilante definizione di «formazione sociale specifica», collegandovi tutele civili e patrimoniali. Ma è un limite imposto dalla Costituzione che a sua volta lo ha mutuato dalla natura. Tanto è vero che l’articolo 29 «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Nessun divieto biblico, dunque. Il matrimonio richiamato è quello civile (o religioso con effetti civili), l’unico cui la legge collega diritti e doveri. In poche parole, la Costituzione si limita a collocare il concetto di famiglia in un alveo naturale preesistente allo spazio giuridico. Infatti lo Stato ne riconosce i diritti, non pretende di fondarli. Ecco perché fuori dal perimetro del diritto naturale, cioè di quell’insieme di norme ispirate dalla razionalità e dal senso comune che Cicerone definiva recta ratio, non vi può essere famiglia. Ma lo hanno stabilito De Gasperi, Croce e Togliatti non una bolla papale. E bene fecero perché negli ultimi secoli è stato proprio il diritto naturale a far da argine ai tentativi di straripamento del diritto positivo. Quando non è avvenuto, l’umanità ha conosciuto gli orrori della “legalità” di Auschwitz e dei gulag staliniani. Il diritto naturale è Antigone che sfida la “legalità” di Tebe per dare sepoltura al fratello riaffermando così il primato della pietas umana sul divieto di Creonte, perché nessuna legge umana può impedire di amare il proprio simile. Così come nessuna legge umana potrà mai fare di un uomo una madre e di una donna un padre. Ci pensi bene Renzi prima di barattare per un po’ di voti l’umana ragione con un capriccio contro natura.

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