‘Ndrangheta a Milano: fino a 20 anni di carcere per i primi sei imputati

16 Dic 2015 19:30 - di Redazione
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‘Ndrangheta alla sbarra a Milano. Sono state emesse condanne fino a 20 anni di carcere nel processo a carico di sei persone arrestate nel dicembre 2014 nell’ambito dell’inchiesta ‘Rinnovamento‘ sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta a Milano. Il collegio della settima sezione penale del Tribunale di Milano ha inflitto la pena più alta, 20 anni di reclusione, a Vincenzo Martino, fratello di Giulio Martino, il presunto capo della cosca legata al clan di Reggio Calabria Libri-De Stefano-Tegano che operava nella zona tra piazza Prealpi e viale Certosa, alla periferia di Milano. Un altro fratello, Domenico Martino, è stato condannato invece a 11 anni e 3 mesi di carcere. Tra i sei imputati anche un ex poliziotto, Marco Johnson, finito a processo con l’accusa di corruzione e oggi condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere. I giudici hanno accolto, in sostanza, le istanze dei pm della Dda di Milano Marcello Tatangelo e Paola Biondolillo, che nelle scorse udienze avevano chiesto pene fino a 19 anni e mezzo di carcere. Lo scorso 27 luglio altre 40 persone coinvolte nella stessa inchiesta di ‘ndrangheta e processate con rito abbreviato, che comporta lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna, erano state condannate a pene fino a 20 anni di carcere. Tra loro il presunto boss Giulio Martino (20 anni di reclusione) e l’imprenditore Cristiano Sala, che avrebbe cercato di mettere le mani sul servizio catering per le partite del Milan allo stadio San Siro. I sei imputati condannati oggi sono gli unici che non hanno scelto il rito alternativo, e sono stati quindi processati davanti al Tribunale di Milano. Nelle scorse udienze i difensori avevano chiesto l’assoluzione. I giudici oggi, accogliendo un’istanza della difesa, hanno disposto anche la liberazione dell’ex poliziotto Johnson (assolto da alcune imputazioni), attualmente agli arresti domiciliari, in quanto “la carcerazione ha avuto un efficace impatto dissuasivo” sulla possibilità di una “perpetuazione dei reati da parte di una persone incensurata”. Hanno rilevato, inoltre, che “non c’è mai stato un pericolo di fuga”. Hanno respinto, invece, analoghe richieste presentate dai difensori di altri due imputati.

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