A Roma la partita non è affatto chiusa: la destra può vincere, se ci crede
Sull’attuale funzione storica di Forza Italia Silvio Berlusconi non ha dubbi: il movimento deve essere il collante che tiene insieme il centrodestra, cioè Lega, Fratelli d’Italia e gli stessi azzurri, e tutto quello che si muove nella galassia moderata. L’obiettivo è presidiare e allargare il confine verso il centro, ¡I segmento elettorale che è nel mirino di Matteo Renzi e del suo Partito della nazione. «Dobbiamo essere uniti» dice il Cav «e tentare di portare dalla nostra parte quei 3-4 punti che già ora ci basterebbero per vincere».
Berlusconi lancia appelli disperati all’unità del centrodestra
Siamo quasi a Lapalisse – si legge su “Panorama” – ma come spesso accade in polìtica (e di certo nel centrodestra) la cosa più semplice da dire si rivela anche la più difficile da fare. Intanto perché quei 3-4 punti rappresentano elettori che della politica tradizionale non ne vogliono più sapere. È un’amara verità di cui tutti nei palazzi del potere sono consapevoli: nell’elenco dei candidati che Renzi sogna di schierare per città come Roma o Milano ci sono solo tecnici, prefetti o magistrati, e neppure l’ombra di un politico. Berlusconi non si discosta di molto. Solo che comprende che chi viene da un’esperienza extra-politica, e si appresta a cimentarsi in una campagna elettorale, deve darsi una cornice politica. Può essere la più autonoma, la meno schierata, ma in ogni caso deve tenere conto di qualche punto cardinale, pena il rigetto dei partiti tradizionali che sono una componente essenziale per vincere.
Centrodestra a Roma può vincere, se fa la scelta giusta: Marchini o Meloni?
«Per me» osserva «Alfio Marchini sarebbe un ottimo candidato per Roma. Ne sono convinto. Ma una collocazione deve averla: a me non interessa che si dica di centrodestra, può anche definirsi autonomo, ma almeno deve dire che è alternativo alla sinistra, al Pd che ha portato Ignazio Marino in Campidoglio». Come dargli torto? Solo che i candidati della società civile non hanno questa sensibilità e basta loro una parola per attirarsi i fulmini dei politici: ne è esempio il dualismo che ora contrappone a Roma l’idea Marchini con l’ipotesi Giorgia Meloni. Eppure basta ricorrere alla politica per capire che nell’attuale sistema tripolare il candidato va scelto in base al ballottaggio più probabile: è ovvio che se il centrodestra dovesse vedersela al secondo turno con un candidato del Pd, Meloni avrebbe più chance di attirare voti grillini; se invece il ballottaggio fosse contro ¡I M5s, Marchini potrebbe tirarsi dietro parte dei voti di sinistra.