Omicidio Garlasco, per i giudici Alberto Stasi considerava Chiara “pericolosa”

16 Mar 2015 16:51 - di Giorgia Castelli

Omicidio Garlasco: depositate le motivazioni della condanna. Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata Chiara Poggi che evidentemente era diventata una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo “perbene”. È quanto si legge nelle motivazioni della Corte di assise d’appello di Milano che lo scorso dicembre ha condannato Stasi a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata. L’ex studente bocconiano è stato giudicato con rito abbreviato. I giudici, pur sostenendo che «il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto», ipotizzano che la scoperta di Chiara della “passione” di Alberto «per la pornografia» avrebbe potuto «provocare discussioni, anche con una fidanzata “di larghe vedute”».

Omicidio Garlasco, Stasi non è una vittima

«La dinamica dell’aggressione – si legge in un passaggio della motivazione – evidenzia come Chiara non abbia avuto nemmeno il tempo di reagire, dato questo che pesa come un macigno (…) sulla persona con cui era in maggior e quotidiana intimità». E poi ancora: Chiara Poggi ”è rimasta del tutto inerme” di fronte al suo aggressore: «Era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà». Alberto Stasi, dicono i giudici, ha parlato di sé «come la vittima di un caso giudiziario che lo ha costretto per oltre sette anni a doversi difendere», ma «in realtà la sola vittima di questo processo è Chiara Poggi uccisa a 25 anni dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene». La descrizione che ne segue è agghiacciante: «Stasi dopo aver commesso il delitto (…) è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione, e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto». Una condotta che i giudici hanno definito «fuorviante e finalizzata ad allontanare i sospetti dalla sua persona: ha subito sviato le indagini senza mettere a disposizione degli inquirenti tutto quanto aveva via via interesse investigativo. È riuscito a rallentare gli accertamenti a proprio vantaggio, anche grazie agli utili errori commessi dagli stessi inquirenti».

I giudici: decisive anche le impronte

Secondo i giudici le modalità dell’aggressione «indicono ad individuare l’esistenza di un “pregresso” tra vittima e aggressore, tale da scatenare un comportamento violento da parte di quest’ultimo, evidentemente sorretto da una motivazione “forte”, che ha provocato in quel momento il raptus omicida, portato fino alle estreme conseguenze”. Una motivazione, è il parere della Corte, per cui l’assassino il 13 agosto 2007 di prima mattina si è recato a casa di Chiara «forse per ottenere o fornire spiegazioni verbali, che al contrario hanno fatto sì che lo stesso si vedesse “costretto” ad aggredire la vittima e ad “eliminarla” lanciandola giù dalle scale». Infine l’individuazione delle impronte digitali di Alberto Stasi sul dispenser del sapone nel bagno della villa dei Poggi e non quelle di altre persone o «di Chiara o dei suoi familiari» e il dato del «sicuro lavaggio delle mani da parte dell’assassino (…)» ha portato la Corte d’assise d’Appello ad attribuire «una indubbia e più forte valenza probatoria alle uniche due impronte rilevate, che appartengono all’imputato».

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