Processo Eternit, niente risarcimenti. La Cassazione: colpa dei giudici
Il processo torinese per le morti da amianto e la produzione di eternit era addirittura già prescritto nel 2008, quindi prima ancora del rinvio a giudizio dell’imprenditore svizzero Stephan Ernest Schmideiny condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato dall’amianto negli stabilimenti Eternit e nei territori ad essi limitrofi in Italia ma successivamente prosciolto in via definitiva per intervenuta prescrizione del reato: lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni, depositate oggi, del verdetto di prescrizione che lo scorso 19 novembre ha, tra l’altro, annullato i risarcimenti alle vittime.
Ad avviso della Cassazione «a far data dall’agosto dell’anno 1993» era ormai acclarato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell’anno, era stata «definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti». «E da tale data – prosegue il verdetto – a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (13/02/2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti» per «la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005».
La decisione della Cassazione non lascia scampo alle richieste risarcitorie avanzate dalle famiglie delle vittime: «per effetto della constatazione della prescrizione del reato, intervenuta anteriormente alla sentenza di I grado», cadono, avverte la Cassazione, «tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni».
I magistrati della Suprema Corte individuano anche gli errori che sono stati commessi e che hanno portato ad annullare i risarcimenti e, addirittura, chi ha commesso quegli errori.
Eternit, la Cassazione contro Tribunale e Corte d’Appello
«Il Tribunale – spiegano i giudici di piazza Cavour – ha confuso la permanenza del reato con la permanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all’evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omicidio».
Ad avviso della Cassazione l’imputazione di disastro a carico dell’imprenditore svizzero Stephan Ernest Schmideiny non era la più adatta da applicare per il rinvio a giudizio dal momento che la condanna massima sarebbe troppo bassa, per chi miete morti e malati, perché punita con 12 anni di reclusione. In pratica “«colui che dolosamente provoca, con la condotta produttiva di disastro, plurimi omicidi, ovverosia, in sostanza, una strage» verrebbe paradossalmente punito con solo 12 anni di carcere e questo è «insostenibile dal punto di vista sistematico, oltre che contrario al buon senso», aggiunge la Suprema Corte.
Per la Cassazione «la consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri» d’amianto «prodotte dagli stabilimenti» gestiti da Stephan Schmidheiny e cioè «non oltre il mese di giugno dell’anno 1986, in cui venne dichiarato il fallimento delle società del gruppo».
Con il fallimento – scrive la Cassazione – «venne meno ogni potere gestorio riferibile all’imputato e al gruppo svizzero» e gli stabilimenti (Casale Monserrato e Cavagnolo in Piemonte, Napoli-Bagnoli in Campania e Rubiera in Emilia, cessarono l’attività produttiva«che aveva determinato e completato per accumulo e progressivo incessante incremento la disastrosa contaminazione dell’ambiente lavorativo e del territorio circostante».
«Non può annettersi rilievo, nella situazione normativa data, alla circostanza della mancata o incompleta bonifica dei siti» contaminati dall’amianto nelle zone di produzione dell’Eternit. Nel verdetto Eternit, respingendo la tesi di alcuni dei difensori delle vittime dell’amianto che ritenevano che l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny dovesse essere dichiarato responsabile per la mancata o incompleta bonifica dei siti produttivi. Spiegano gli ermellini che la fattispecie incriminatrice del reato di disastro «non reca traccia di tale obbligo, né esso, o altro obbligo analogo, può desumersi dall’ordinamento giuridico, specie se riportato al momento in cui lo stesso dovrebbe considerarsi sorto (1986».