Processo Eternit, nuovo scandalo della giustizia: si va verso la prescrizione

19 Nov 2014 20:37 - di Roberto Frulli

Prescritto. E, quindi, da annullare. E’ la clamorosa e inattesa conclusione alla quale giunge il sostituto procuratore della Cassazione Francesco Iacoviello che, nel corso della sua arringa all’udienza nell’aula magna della Cassazione sul maxi-processo Eternit per disastro ambientale e sulle morti per amianto che hanno devastato intere comunità, ha chiesto di dichiarare prescritto il processo e, di conseguenza, di annullare la condanna a 18 anni di carcere per l’unico imputato, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, già condannato dalla Corte d’appello di Torino il 3 giugno 2013.
«Per reati come il disastro “silente” o “innominato” come quello delle morti per amianto che ha una latenza di decenni, o per l’omicidio stradale – ammette amareggiato Iacoviello – servono nuove leggi e l’intervento del legislatore perché non sono più gestibili con le categorie di reato tradizionali». Ad avviso del Pg il reato attuale di disastro ambientale non può comprendere anche le morti per amianto e le lesioni – «una serie straziante di migliaia di morti» – perché «è poca cosa una pena che nel massimo arriva a 12 anni di reclusione».
Secondo il Pg, data l’assenza di una norma specifica che preveda il disastro comprensivo di morte, la vicenda Eternit deve considerarsi prescritta in sostanza dal 1998, ossia 12 anni dopo la dichiarazione di fallimento di Eternit che risale al 1986.

L’amarezza del Pg: legge inadeguata, lassista e permissiva

Nella sua requisitoria, inoltre, Iacoviello stigmatizza che in Italia «fino al 1992, l’amianto era consentito da una legislazione lassista e permissiva» e, pur chiedendo la prescrizione della condanna per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, il Pg ha sottolineato che «per me l’imputato è responsabile di tutte le condotte a lui ascritte, ma il problema è il capo di imputazione».
La richiesta di Iacoviello ha subito innescato una marea di polemiche. Perché appare incredibile che, a distanza di anni, nessuno paghi per la morte di circa due mila persone uccise dall’amianto, soprattutto in Piemonte, ma anche in Emilia-Romagna e in Campania, nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale Eternit.
In centinaia avevano raggiunto il palazzo della Cassazione a Roma da tutta Italia per presenziare a questo ultimo atto di una vicenda che ha segnato in maniera indelebile la vita di migliaia di famiglie cancellando l’equivalente della popolazione di un paese intero.

Mamma Blasotti, 85 anni e una famiglia sterminata

Fra loro Romana Blasotti, 85 anni ben portati nonostante i cinque lutti che l’amianto ha causato alla sua famiglia. La donna che guida l’Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto. ha spiegato, arrivando in Cassazione accompagnata dal figlio Ottavio Pavesi: «Vogliamo giustizia e siamo convinti che l’avremo, dopo 35 anni di lotte. Quando abbiamo iniziato la nostra battaglia sapevamo di doverlo fare per i nostri giovani, perché a loro non capitasse di morire a causa dell’amianto, ma non ci siamo riusciti: a Casale si continua a morire al ritmo di 50-60 decessi all’anno».
Adesso però, almeno una cosa si è riusciti ad ottenerla: il Comune di Casale è stato autorizzato dal governo a spendere i fondi per la bonifica del territorio fuori dai vincoli di bilancio.
“Mamma” Romana ha visto morire nel 1983 il marito, appena andato in pensione, poi una sorella, un nipote, una cugina e da ultima anche una figlia. Tutti morti per le polveri di amianto.
Insieme a lei sono arrivati da Casale altri 70 concittadini su un pullman e altrettanti sono arrivati chi con il treno, chi con la macchina.
In maniera composta si sono seduti nell’aula magna della Suprema Corte per l’udienza presieduta dal presidente Renato Cortese. Accanto a loro decine e decine di persone provenienti da varie parti d’Italia e anche dall’estero. Sono arrivati anche da Bagnoli, dall’Emilia e addirittura dalla Gran Bretagna, dove a Manchester c’è uno stabilimento che esala polveri di amianto, ma ci sono persone giunte anche dalla Svizzera e dal Brasile.

Il Pd contro i magistrati: indignati, la giustizia non funziona

La relazione su questa lunga vicenda, che ha preso l’avvio a metà degli anni ’70, è stata svolta dalla consigliera relatrice Maria Stefania Di Tomassi. Una relazione molto lunga perché le parti civili costituite sono circa un migliaio e ci sono molti ricorsi e posizioni processuali delle quali dare conto. Dopo la relazione, la parola è passata al sostituto procuratore generale Francesco Iacoviello, E lì è esplosa la contraddizione di tutta la vicenda. Sollevando polemiche a non finire. «Richiesta scandalosa», s’indigna Giorgio Airaudo, segretario generale della Fiom. «Umilia la storia di una lunga battaglia sindacale, politica e civile», s’inalbera il dem Lavagna. E i senatori del Pd, quegli stessi che, quando tocca a Berlusconi, avvertono «le sentenze si rispettano tutte», stavolta cambiano posizione scagliandosi contro il sostituto Pg della Cassazione:  la fiducia della gente «non può essere tradita. Sarebbe gravissimo che ciò accadesse, e un duro colpo ne deriverebbe per la credibilità del nostro sistema istituzionale». Il senatore Vannino Chiti si spinge ancora più in là: «Se la prima sezione penale della Cassazione dovesse accogliere la richiesta del Procuratore Generale, saremmo di fronte all’ennesima dimostrazione del non funzionamento del sistema giudiziario italiano».
«Richiesta sconcertante», strilla la Cgil. «Indignati e sgomenti» si dicono da Legambiente. «Moralmente e civilmente inaccettabile», giudica il Pd Ermete Realacci la richiesta di Iacoviello.
«Stiamo celebrando un processo per disastro ambientale in base all’articolo 434 del Codice penale e non si può che dichiarare la prescrizione del reato, che è quello che chiedo a meno che la Cassazione non ritenga l’insussistenza del reato», spiega l’avvocato Franco Coppi, difensore del magnate svizzero Stephan Schmidheiny.
La morte e le lesioni, aggiunge Coppi, «non sono contemplate dal reato di disastro ambientale tanto è vero che la stessa Procura di Torino in altri procedimenti sempre relativi alla vicenda Eternit ha contestato le imputazioni per lesioni e, nel processo Thyssen, addirittura per omicidio doloso: e questa è la prova, diciamoci la verità, della consapevolezza che questo reato non è agganciato alla previsione di morte e lesioni». In pratica seguendo il ragionamento di Coppi, la Procura di Torino avrebbe dovuto contestare, a parte e oltre al disastro ambientale, anche i reati di omicidio e lesioni. Cosa che, invece, non ha fatto.

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