Un anno di governo per Matteo Renzi: se non è fallimento, poco ci manca
Domenica prossima il governo di Matteo Renzi compirà un anno. Un tempo sufficiente per un primo bilancio. Vedrete, nei prossimi giorni la grande stampa dedicherà paginate intere alla ricostruzione di questi dodici mesi. Qualcuno, come la Stampa e Il Foglio, ha già cominciato a farlo. Potete giurarci: ne leggeremo delle belle. Come al solito il mondo giornalistico si dividerà tra laudatori e denigratori. Non ci vuole molto a prevedere che i primi saranno molto più numerosi dei secondi. Ma questo, con tutta franchezza, lascia il tempo che trova. Il vezzo di assecondare il potere, di lisciare il pelo ai potenti di turno fa parte del Dna di un certo giornalismo sussieguoso, acritico e prono di cui sono zeppe le redazioni. Con le dovute eccezioni, naturalmente.
Matteo Renzi, cinico e spregiudicato
Eppure, basterebbe ripercorrere le tappe di avvicinamento a Palazzo Chigi del premier più giovane che l’Italia abbia mai avuto, soffermarsi sulla spregiudicatezza con cui ha eliminato (“Rottamato”, per usare il suo stesso gergo, che è diventato di moda), Letta, Bersani e i suoi avversari interni, per fissarne il tratto di una personalità cinica, capace di capovolgere in ventiquattr’ore le sue stesse dichiarazioni ad uso e consumo dei propri interessi e obiettivi. Basterebbe verificare con attenzione se c’è stata effettiva corrispondenza tra enunciazioni, promesse, annunci di cambiamento di verso o di rivoluzioni per rimettere in marcia il Paese e i provvedimenti poi adottatati, per constatare, come tutta evidenza, che questi elementi hanno avuto un andamento asimmetrico. Basterebbe leggere i dati economici, nessuno escluso, per rendersi conto della situazione in cui versa il Paese. Del declino nel quale annaspiamo. Dell’aumento vertiginoso della disoccupazione, soprattutto giovanile. Dell’impoverimento progressivo del ceto medio, praticamente scomparso di scena. Della debolezza con cui si è mosso sullo scenario europeo, vanificando l’opportunità di guidare per un semestre la Ue. Della incertezza con cui si annaspa sul terreno internazionale in queste ore di timore e allerta per le minacce terroristiche dell’Isis. Di come le tanto decantate Riforme costituzionali, approvate, infine, a colpi di maggioranza, in contraddizione con l’esigenza, da lui stesso più volte affermata, di un consenso parlamentare molto più vasto.
La “botta di culo” di Matteo Renzi
E non andiamo oltre. Ci fermiamo qui. Ma l’elenco potrebbe essere molto più nutrito. Certo, non può dirsi che Renzi non abbia rappresentato in questo anno una novità nel panorama politico. Ma si è trattato piuttosto di una novità lessicale, di eloquio, di piglio. Insomma, molte volte ha detto cose giuste. Ha detto quel che gli italiani spesso pensano. Quando, però, è passato alla pratica, ha fatto esattamente il contrario. E ora, il suo futuro se lo gioca puntando tutto su quel che Claudio Cerasa, su il Foglio, definisce , una “botta di culo”. Ossia, quella fortunata congiunzione astrale fatta di tre variabili: il prezzo del dollaro basso che potrebbe far crescere le nostre esportazioni; il petrolio più basso, che, secondo il Fondo monetario internazionale, dovrebbe far crescere il pil mondiale di uno 0,8% in più, incidendo sui consumi; l’operazione di Quantitative easing architettata da Draghi per abbassare, anche in Italia, i tassi di interesse sui titoli di Stato. Con tutta l’obiettività possibile, non ci sembra però che ciò possa ascriversi alle straordinarie capacità del premier. Fortunato? Forse. Ma non prendiamoci in giro.