La svolta di Renzi: accontentare tutti. Ma resta decisivo l’incontro col Cav

11 Nov 2014 10:51 - di Romana Fabiani

La normalizzazione renziana passa per la matassa inestricabile della riforma elettorale. L’affollata riunione di maggioranza si è conclusa con una chiara direzione di marcia per uscire dal cul de sac delle ultime settimane dovuto all’irrigidimento di Berlusconi e all’altolà di Alfano che sulla soglia di sbarramento ha minacciato di uscire dal governo. Vittima dei veti incrociati, il premier ha proposto e ottenuto il via libera a un impianto per non scontentare nessuno, blindare la sua maggioranza e arrivare all’incontro di mercoledì con il Cavaliere con la pistola carica per poi convocare la direzione del Pd e chiudere la partita.

Il giallo sul voto anticipato

Da una parte il “cedimento” ai partiti minori con l’abbassamento del quorum (che dovrebbe oscillare tra il 3 e il 4 per cento), dall’altra la conferma della volontà di coinvolgere Berlusconi nel percorso delle riforme a patto che dall’amico-nemico arrivi una risposta definitiva in tempi rapidi che salvi il Patto del Nazareno. «Le regole del gioco si fanno insieme, però bisogna farle, non si può rinviare all’infinito», ha ripetuto assicurando di voler andare avanti fino al 2018 e di non avere alcuna intenzione di giocare la carta del voto anticipato. Un chiaro messaggio di non belligeranza a Forza Italia.

Il tira e molla sul quorum

La svolta sulle modifiche alla legge elettorale è arrivata con il colloquio a Palazzo Chigi con Angelino Alfano e il vertice, modello Prima Repubblica, con tutti i partiti per suggellare l’asse di governo rivedendo lo schema iniziale di un accordo preventivo con Berlusconi che costringeva le altre forze politiche alla rincorsa. La prima mossa è quella di assicurare il ministro dell’Interno sulla rappresentanza di tutte le forze politiche, anche di quelle che con uno sbarramento al 5 per cento o addirittura all’8 per cento, come chiesto dal Cavaliere, rischiano di essere spazzate via del Parlamento. Che tradotto significa: quorum abbassato al 3-4 per cento, premio di maggioranza alla lista (il punto più controverso), ballottaggio al di sotto del 40 per cento e apertura alle preferenze (altro motivo di frizione) pur mantenendo una quota di liste bloccate. È questo il canovaccio al testo di legge che nelle prossime ore sbarcherà al Senato dove l’ufficio di presidenza è chiamato a calendarizzare i lavori in commissione dove l’Italicum è fermo da marzo.

Il no di Forza Italia all’ultimatum

Ma la partita a scacchi tra Renzi e Berlusconi è tutt’altro che archiviata. Mantenere vivo il patto suggellato al Nazareno conviene ad entrambi: al primo, che ha perso il saldo controllo dei gruppi  parlamentari, per non trovarsi in Parlamento una minoranza ostile, al secondo per restare sulla scena politica e rafforzare una leadership che scricchiola. Berlusconi, che nelle prossime ore riunirà l’ufficio di presidenza aprendo alla richiesta di Raffaele Fitto e dei malpancisti azzurri che hanno preteso una riflessione comune sulle riforme, dovrà apparire fermo nel no all’ultimatum di Renzi e dimostrare che ha ancora il boccino in mano. Non è escluso che, dopo la pax fittiana, chieda un nuovo mandato pieno a trattare sull’Italicum. Il no all’aut aut del premier è un buon viatico per ricompattare le diverse anime di Forza Italia che chiedono un colpo di reni e la fine della stagione dei ricatti.

 

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