L’allarme dei Servizi segreti: decine di italiani convertiti tra i terroristi dell’Isis

24 Set 2014 20:02 - di Redazione

Anche l’Italia è una base di partenza per i “foreign fighters”, estremisti che vanno a combattere in teatri di guerra come Iraq e Siria e si arruolano nell’Isis: le stime di forze di polizia ed intelligence indicano in una quarantina i combattenti “italiani”. Numeri di gran lunga inferiori, dunque, a quelli di altri Stati europei come la Gran Bretagna e la Francia, ad esempio. Si tratta di persone passate per il Paese, immigrati di seconda generazione, ma anche italiani convertiti. È il caso del giovane genovese Giuliano Delnevo, morto nei pressi di Aleppo nel giugno del 2013. L’altro combattente di nazionalità italiana noto alle forze di polizia è un giovane marocchino naturalizzato che si trova attualmente in un altro Paese europeo. Il pericolo è che queste persone tornino in Italia con intenzioni ostili, forti anche dell’ulteriore radicalizzazione e del know-how acquisito in zone di guerra. Il monitoraggio è accurato nei confronti di questi ‘jihadisti di ritorno’, anche se non è facile controllarli tutti, soprattutto i lupi solitari, non legati cioè a cellule terroristiche strutturate. E ci sono esempi concreti della loro pericolosità: il responsabile della strage al Museo ebraico di Bruxelles del maggio scorso, il francese Mehdi Nemmouche, era un ex combattente dell’Isis. Mentre il franco-algerino Mohamed Merah, autore di una serie di attentati a Tolosa e Mantabaun nel 2012, si era radicalizzato ed addestrato in Pakistan e Afghanistan.

In questo contesto, le minacce dell’Isis a Roma «rendono indispensabile elevare il livello di guardia», considerando anche che l’offensiva degli Stati Uniti e di altri alleati in Siria «potrebbe innescare forme di reazione». Lo ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo al question time. «Occorre – ha spiegato Alfano – mantenere costante il controllo degli obiettivi più esposti e rafforzare il monitoraggio dei luoghi di reclutamento ed incitamento alle violenza». Il ministro ha quindi ribadito che la «minaccia jihadista è seria», anche se «le risultanze investigative indicano l’assenza di specifiche progettualità contro l’Italia».

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