Libia al collasso: il Paese diviso in tre. Gli islamici formano un “califfato” a Bengasi

26 Ago 2014 17:46 - di Redazione

È la fine della Libia: il Paese arabo ora ha di fatto due assemblee parlamentari e due premier ad interim, mentre si ha notizia di nuovi scontri e l’Egitto respinge l’accusa di essere – con gli Emirati – dietro i raid aerei compiuti a Tripoli contro i jihadisti: accusa suffragata tuttavia da fantomatici “alti funzionari Usa” citati dal New York Times. Addirittura poche ore fa La sede del premier ad interim Abdallah al-Thani a Tripoli, fedele al Parlamento che si riunisce a Tobruk, è stata assaltata dai miliziani islamici di Operazione Alba. Lo afferma al Arabiya confermando testimonianze oculari. La spaccatura ufficiale del Paese in tre parti, Tripoli in mano ai filo-islamici di Misurata, Bengasi Califfato di Ansar al Sharia e Tobruk luogo d’esilio del parlamento eletto due mesi fa, è arrivata. Il vecchio Congresso, il Gnc, si è riunito a Tripoli dopo l’invito delle milizie di Misurata, che hanno conquistato l’aeroporto e buona parte dei centri nevralgici della capitale. Il suo mandato è concluso, superato dall’elezione del nuovo parlamento che si doveva riunire a Bengasi e non più a Tripoli in segno di riconciliazione con i federalisti dell’est. Ma in aperta sfida ai deputati di Tobruk, in maggioranza ostili alle fazioni integraliste, l’assemblea – incerto il numero dei partecipanti, 185 i membri – ha incaricato un docente di scienze politiche all’Università di Bengasi, tale Omar al-Hasi, considerato vicino ai partiti islamici del Paese, e quindi anche ai Fratelli Musulmani, di formare un governo di “salvezza nazionale”. Insomma, è golpe. Da Tobruk, il capo del governo provvisorio, Abdallah al-Thani ha bollato la riunione del Gnc e le sue decisioni come “illegali”. «L’unico corpo legislativo legale é il Parlamento eletto il 25 giugno», ha insistito al-Than, a cui la Camera non ha peraltro ancora confermato l’incarico. Ma proprio mentre parlava, le milizie di Misurata assaltavano la sua abitazione a Tripoli, dandola alle fiamme, così come hanno fatto con il terminal dell’aeroporto e altre case di avversari politici nella capitale. Veri e propri combattimenti sono stati segnalati lungo una arteria nei pressi dell’aeroporto, mentre tre razzi Grad piovuti sullo scalo di al Beida, tra Bengasi e Tobruk, hanno elevato l’allerta su quello che allo stato attuale è l’unico scalo aereo in grado di funzionare nel Paese. Ansar al Sharia ha poi di fatto aderito all’appello del Gran Mufti del Paese, invitando i ”fratelli” di Misurata e dell’operazione Alba a unirsi in un grande fronte islamico. Al Cairo, il summit dei Paesi confinanti si è chiuso intanto con un appello al dialogo nazionale per far cessare i combattimenti e le violenze che per ora resta solo sulla carta. La Libia ha preannunciato che chiederà l’intervento del Consiglio di Sicurezza Onu il prossimo 27 agosto. «Non è una richiesta di azioni militari», ha sottolineato il ministro degli Esteri, «ma che l’Onu porti a compimento la sua missione». Una terminologia sibillina, pur accompagnata da un esplicito riferimento al capitolo VII della Carta della Nazioni Unite che contempla una serie di misure tra cui quelle militari, dettata dalla volontà di non gettare benzina sul fuoco. La denuncia delle richieste d’intervento straniero, a più riprese evocate dalle autorità centrali libiche, è infatti il cavallo di battaglia delle milizie filo-islamiche – e ovviamente dei jihadisti – che accusano il Parlamento di “tradimento”. Le fiamme sono state aizzate in giornata anche dall’autorevole New York Times che, citando “quattro alti funzionari” americani conferma quanto scritto nei giorni scorsi da diversi media nordafricani e sostenuto dai miliziani di Misurata: e cioè che «i raid aerei su Tripoli sono stati condotti da Egitto e Emirati Arabi Uniti». Washington avrebbe accolto la notizia “con sorpresa” e ambienti Usa bollano una simile iniziativa come “inefficace”. Immediata e furente la smentita del Cairo, che parla di menzogne, della volontà di implicare l’Egitto negli affari interni della Libia. Ma più tardi un funzionario americano ribadisce all’Afp che a bombardare sarebbero state le forze degli Emirati, partendo da basi messe a disposizione dall’Egitto. Mentre in una nota congiunta di Usa, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, si condanna l’escalation delle violenze in Libia, si incoraggia la “transizione democratica” (sic) e si esprime sostegno alle istituzioni “elette” nel Paese nordafricano; ma si denunciano anche le “interferenze” esterne come controproducenti e suscettibili di aggravare le “divisioni attuali” interne. Insomma, mentre la Libia muore, l’Italia si preoccupa solo di sposare la linea Usa…

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