La Germania chiede rigidità a tutti, ma sull’export è la prima a violare le regole…
La flessibilità negata all’Italia viene invece concessa alla Germania. Il rispetto delle regole che Bruxelles intima a Roma un giorno sì e l’altro pure, non vale per Berlino. Cosa è accaduto? La Germania è inadempiente rispetto alle regole del “six pack” per il quinto anno di seguito ma dalla commissione Ue non arrivano né richiami né ammonimenti. È Repubblica nell’edizione odierna a puntare l’indice contro i tedeschi: “Per ogni Paese – scrive Federico Fubini – diventa proibito avere un rosso delle partite correnti (scambi con l’estero) di oltre il 3% del Pil per più di tre anni di fila, ma lo è anche un surplus di oltre il 6% per lo stesso periodo”. La Germania invece anche quest’anno sarà “in violazione della soglia del 6% per il quinto anno di seguito”. Un surplus commerciale accumulato verso i paesi extra-Ue che ostacola l’export dei paesi dell’eurozona. L’Italia ha invece fatto i propri compiti con diligenza: ha cancellato i disavanzi esterni “anche a costo di di milioni di disoccupati in più e una caduta dei salari”, ricorda Fubini.
Eppure Ralph Brinkhaus, vicecapogruppo parlamentare Cdu e responsabile di Finanze e Bilancio, in un’intervista chiude nuovamente alla richiesta di maggiore flessibilità avanzata da Palazzo Chigi. “Rispettando le regole attuali abbiamo superato insieme situazioni difficili. Sarà possibile anche in futuro”. “Renzi però ha anche ragione quando dice che dobbiamo dare impulsi di crescita. E’ possibile nell’ambito delle regole, non cambiandole. E con profonde riforme di struttura”. Già, ma le regole o valgono per tutti o non sono tali. La rigidità e la correzione degli squilibri non può essere imposta solo ai paesi più deboli e ignorata là dove l’euro ha portato vantaggi e benefici.