Un bacio al nostro “Tato”: tra lacrime e strazio Motta Visconti ha dato l’addio alle tre bare bianche

21 Giu 2014 16:31 - di Gabriele Alberti

«Caro Gabriele, ricordiamo il tuo piccolo viso abbronzato e sorridente, eri il più piccolo a scuola e la tua sorellina ti chiamava il Tato. Ecco, per noi sarai per sempre il “Tato”.  Uno dei più toccanti interventi durante le esequie di Maria Cristina Omes e dei due figli è stato quello della maestra dei due bambini che ha rivolto un accorato e commovente ultimo saluto a Giulia e Gabriele. La maestra ha ricordato anche Giulia «due anni con noi nella scuola dell’infanzia, quattro anni senza arrivare a contare nemmeno tutte le dita di una mano, sempre il grembiulino sbottonato ma per noi rimarrai sempre la bambina dell’insalata». Straziante è dire poco. Nel corso della cerimonia funebre di Maria e dei suoi figli trucidati nella villa di famiglia dal padre, Carlo Lissi, il vicario dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha ripetuto più volte con solennità la frase: «C’è bisogno di silenzio», l’ha ripetuto tre volte. Il prelato, ricordando «l’eccesso di clamore mediatico» che ha accompagnato il caso della strage in famiglia del 14 giugno scorso a Motta Visconti, nel corso dell’omelia ha detto che «il clamore delle notizie quando non c’è nulla da dire, l’ossessione delle immagini quando non c’è nulla più da vedere, ha aumentato la confusione dentro di noi. Il nome del Paese, fatto di brava gente, è risuonato dappertutto con orrore. Le parole hanno perso di significato: cosa significano ora “papà”, “figlio” e “amore”». Il silenzio serve a questo: «Abbiamo bisogno del silenzio che custodisce la discrezione, che prende tempo per piangere e riflettere».
E se è vero che a Motta Visconti c’è bisogno di silenzio, serve anche una «parola che aiuti a capire». Serve «una parola per continuare a vivere e consentire ancora di parlare. Viviamo in attesa di una parola che sia più seria delle chiacchiere e dei luoghi comuni».

All’apertura della camera ardente, Motta Visconti sembrava un paese fantasma con strade deserte, negozi con le serrande abbassate e i cartelli “chiuso per lutto”. Perché tutta la comunità si è riunita tra via Soriani e via Roma, nella chiesa di San Giovanni Battista, per dare un ultimo saluto alle vittime. La maestra ha voluto ricordare come in una delle ultime lezioni alla scuola dell’infanzia, vedendo tutti insieme un arcobaleno «con la forma del sorriso» fuori dalla finestra, hanno dedicato un pensiero alle piccole vittime. “Vi ricorderemo sempre”.

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