L’autodifesa del Pd Orsoni:«A me hanno chiesto di fare il sindaco, sono un uomo prestato alla politica…»
Gli uomini della guardia di Finanza non hanno dubbi: quello che hanno svelato e portato alla luce sugli appalti Mose con intercettazioni, appostamenti, perquisizioni e sequestri è solo una piccolissima parte di quello che è ancora nascosto. Un tassello importante intorno al quale gira un mondo di politici, imprenditori, portaborse, faccendieri e millantatori molto più grande di quanto appaia ora. I distinguo, le dichiarazioni di innocenza e quelle sdegnate che gli indagati rilasciano a destra e a manca non sembrano incrinare la certezza dei militari che, per mesi, hanno lavorato in silenzio per scoprire l’intrico di relazioni e interessi economici spaventosi che girava intorno alla maxi-opera che avrebbe dovuto proteggere Venezia dalla alta marea. Doveva essere un’occasione, così almeno era stata presentata, per far vedere quanto erano bravi gli italiani quando si mettono d’ingegno a fare le cose. La marea, in effetti, è stata fermata. Ma c’è ne è un’altra marea, montante e putrida, fatta di affari loschi, tangenti, accordi vergognosi, di fronte alla quale anche le alte e apparentemente insormontabili paratie del Mose spossino ben poco. D’altra parte gli appalti per il Mose erano giganteschi. E c’era da immaginare che in parecchi avessero sentito un certo appetito all’idea di mettersi a tavola attorno a quella torta milionaria.
Ci sono quelle foto e quei video che immortalano in maniera incontrovertibile i passaggi di buste e mazzette fra alberghi a cinque stelle, ristoranti di lusso e pizzerie a supportare le dichiarazioni dell’ex-presidente della Mantovani SpA, Piergiorgio Baita, dell’ex-presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati e dell’ex-segretaria del governatore Galan, Claudia Minutillo, scopertasi poi imprenditrice.
Le oltre 700 pagine dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza contestate ai vari indagati e arrestati sparsi in tutta Italia disegnano uno scenario tremendo, l’immagine di un’Italietta arruffona, avida, mai paga, pronta a lucrare su qualsiasi cosa. E in questo sembrano tragicomiche marionette le ombre dei potenti pizzicati con le mani nella marmellata che giurano ai quattro venti la loro innocenza. Fa sorridere il tentativo di certi del Pd di spaccare il capello in quattro: Orsoni? Non era del Pd. Pur essendo stato eletto come sindaco del Pd. Lui stesso, il primo cittadino veneziano si presenta come l’uomo qualunque. Passavo di lì e mi hanno eletto, è il senso tragicomico della sua autodifesa. Ma dietro questa autodifesa si intravede dell’altro. Si intravede un tentativo misero di dividere i destini: di qui il Pd, di là i maramaldi.
«A me hanno chiesto di fare il sindaco, sono un uomo prestato alla politica che non può minimamente fare azioni del genere», assicura il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni al gip che lo ha sbattuto ai domiciliari per una tangente da 250.000 euro. E in molti, ora, nel Pd girano che quel sindaco del Pd non era iscritto al Pd. Una cosa penosa.
Come in una “caccia al tesoro” la Guardia di finanza non smette di cercare di scoprire tutti i rivoli del denaro, forse centinaia di milioni di euro, che sarebbe uscito dai fondi neri creati negli anni da più imprese, sotto la guida di Giovanni Mazzacurati, attraverso i lavori per le opere di salvaguardia di Venezia. L’attenzione è puntata su quei servitori dello Stato e manager che per conto del Consorzio Venezia Nuova avrebbero avuto compiti chiave come evitare intoppi burocratici che avrebbero frenato il flusso finanziario da parte dello Stato o di informare l’allora vertice di Cvn, a guida Mazzacurati, del pericolo di indagini. Se nell’ordinanza del Gip Alberto Scaramuzza tra i 35 arrestati c’è Emilio Spaziante, ex-generale della Guardia di finanza le Fiamme gialle sono andate a cercare nella cerchia di persone ritenute a lui vicine e ignare di possibili illeciti, con perquisizioni anche nelle case di altri due della Gdf. Si tratta di Mario Fiocchetti, voluto nel 2013 dal Governatore della Lombardia Roberto Maroni quale controllore delle opere per l’Expo, e di Walter Monzon, comandante della Gdf a Venezia fino al 2011 e oggi alla guida del corpo in Puglia. Oggi in ambienti della Procura a Venezia si è appreso che i due militari non sono indagati.
Queste perquisizioni come le altre che potrebbero essere al nastro di partenza hanno però una giustificazione: perché «non è detto – è stato riferito – che denaro illecito sia stato nascosto nel materasso di casa propria ma, anche all’insaputa del miglior amico, magari nel garage di quest’ultimo». In quest’ambito anche i rapporti di Mazzacurati con Marco Milanese – stretto collaboratore di Giulio Tremonti quando questi era ministro dell’Economia – finito anch’egli tra gli indagati e ampiamente citato nelle oltre 700 pagine dell’Ordinanza del gip veneziano come uomo di collegamento tra Spaziante (che avvisava del rischio inchieste), e il funzionario-manager che con il vicentino Roberto Meneguzzo (anche lui indagato) Ad di Palladio Finanziaria chiudevano, per conto di Mazzacurati, il ‘triangolo’ Venezia-Milano-Roma. In particolare agli ‘attori’ economici veniva chiesto di premere perché non mancasse un flusso costante dallo Stato per il Mose. Secondo il Gip, dai fondi neri creati dal Consorzio grazie ai contributi con fatturazioni gonfiate dalle società aderenti, a queste figure veniva dato denaro per 500mila euro a Spaziante (chiedeva e gli erano stati promessi 2,5 mln) per indagare «sulla iscrizione – scrive il Gip – di un procedimento penale collegato alla verifica, sulla attività e sui contenuti dell’intercettazione disposta dalla Autorità giudiziaria di Venezia» nei confronti di Mazzacurati e del Consorzio. Somme simili anche per i manager che avevano il compito di fare in modo che passasse la delibera del Cipe del 2010 che rifinanziava le opere del Mose. Così Mazzacurati – le intercettazioni telefoniche del febbraio/marzo 2010 riportate nell’ordinanza lo provano – incarica Meneguzzo di avvicinarlo a Milanese, e ci riesce, per un incontro a Roma. Il Gip dedica nell’ordinanza un intero ‘capitolo’ alla vicenda scrivendo, tra l’altro, che «il problema del blocco dei finanziamenti del Cipe» da Mazzacurati viene «risolto con l’incontro con Milanese il 29 marzo 2010 tramite Meneguzzo». Il Gip dall’esito delle intercettazioni conclude che le telefonate sono utilizzabili «ai fini delle responsabilità complessive dei correi nella vicenda». Poi il 18 novembre dello stesso anno il Cipe delibera lo stanziamento della settima tranche del finanziamento del Mose.