Allarme veleni della Coldiretti per il peperoncino vietnamita e il riso indiano. Ma che fine ha fatto il made in Italy?

28 Mag 2014 13:26 - di Priscilla Del Ninno

I tarocchi siciliani soppiantati dalle arance tunisine. Le pesche bianche provenienti dall’Africa. I pomodori importati dalla Cina. Per non parlare dei prodotti a finto km zero. Delle contraffazioni di formaggi tipici della nostra tradizione casearia. Dello scandalo delle mozzarelle blu, del pollo agli antibiotici, delle uova alla diossina. Cos’altro potrà accadere? Ci si chiedeva poco fa guardando con diffidenza i banchi dei mercati e gli scaffali della grande catena distributiva. La risposta arriva dal report La crisi nel piatto degli italiani nel 2014, presentato a Napoli dalla Coldiretti. Un dossier inquietante che bolla come prodotto alimentare meno sicuro in vendita in Italia il peperoncino proveniente dal Vietnam, e che denuncia un codice rosso anche per il riso indiano. Con cifre a supporto allarmanti: il 61,5 per cento dei campioni di peperoncino è risultato irregolare per la presenza di residui chimici mentre, per quel che concerne il cereale del gigante asiatico, massicciamente importato, risulta a rischio un quantitativo record di 38,5 milioni di chili. «Noi non abbassiamo la guardia in particolare per tutta l’attività di controllo e di verifica della qualità dei prodotti che circolano in questo paese», è stata la rassicurazione del ministro per le Politiche Agricole, Maurizio Martina, in merito ai dati resi noti dalla Coldiretti. Intanto però, gli alimenti “incriminati” li ritroviamo anche in preparazioni miste: e allora per esempio, nel corso del 2013 il Bel Paese risulta aver importato ben 273.800 chili di peperoncino destinato alla preparazione di sughi tipici, utilizzato per insaporire l’olio o condire piatti, sempre senza alcuna informazione per i consumatori. E non è nemmeno ancora tutto purtroppo: a finire all’indice, sempre secondo l’indagine Coldiretti, è anche la pizza: un classico della nostra storia culinaria, oggi sempre più ibridizzata in nome della globalizzazione gastronomica e in virtù degli obblighi dell’import-export. Quasi due pizze su tre sfornate in Italia  (63%) sono, infatti, il frutto non già dell’originale mistura di farina, pomodoro, mozzarella e olio d’oliva rigorosamente made in Italy, ma il miscuglio degli stessi ingredienti provenienti da migliaia di chilometri di distanza, senza alcuna indicazione per i consumatori. In Italia, dunque, sempre più spesso nelle pizzerie viene servito un prodotto preparato, secondo la Coldiretti, con mozzarelle ottenute non dal latte ma da semilavorati industriali – le cosiddette cagliate – provenienti dall’Est Europa, pomodoro cinese o americano al posto di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo – o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine nostrano – e farina francese, tedesca o ucraina, in luogo di quella ottenuta dal grano nazionale. Come a dire che della mitica pizza resta davvero solo il nome.

 

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