Nel Pd è guerra aperta. E, comunque vada, per Letta non sarà un successo

7 Feb 2014 12:30 - di Mario Landolfi

Sbaglia Matteo Renzi a dire che non c’è nulla di più simile alle pratiche della Prima Repubblica che pretendere un rimpasto dopo una vittoria congressuale. Sbaglia perché, più di questo, a riecheggiare i fasti ed i nefasti di quella lunga stagione c’è soprattutto la netta distinzione tra il ruolo di premier e quello di segretario del partito. Nella Dc – che del sistema parlamentare fu architrave e gelosa custode – era quasi proibito cumulare nella stessa persona le due cariche. Vi riuscirono solo De Gasperi e De Mita. Ben diversa è la situazione odierna, sebbene la lettera della Costituzione sia rimasta immutata. A cambiare – però – è soprattutto la sua sostanza, per effetto del maggioritario e del berlusconismo che hanno introdotto nel nostro sistema le alleanze preventive e l’indicazione del premier. In più, l’assetto bipolare ha imposto la coincidenza della leadership e della premiership nella stessa figura. In termini assolutamente perentori nel centrodestra, sempre guidato dal Cavaliere, e in misura assai blanda in un centrosinistra affidato formalmente a Prodi ma di fatto ostaggio delle varie tribù interne.

È evidente che a fare la differenza tra i due schieramenti nella Seconda Repubblica sia stata la forza delle rispettive leadership. Ora – ed è questa la novità – sembra esserne spuntata una anche a sinistra, quella di Renzi appunto, in grado di durare e di resistere all’usura delle vecchie correnti. Il duello tra Letta ed il giovane segretario origina da qui. Renzi è consapevole che lo spirito dei tempi è incompatibile con la tecnica del condizionamento di chi guida il governo da parte di guida il partito. Il rimpasto è merce avariata. Non gli resta che assumere in prima persona le redini dell’esecutivo per fare del Pd nel centrosinistra quel che è stato il Pdl o Forza Italia dall’altra parte, cioè il partito che esprime nella stessa persona la guida della coalizione e – nel caso di vittoria elettorale – del governo. I tentennamenti e le perplessità attuali sono tatticismi. Renzi sa che non può tirarsi indietro. Il problema, semmai, riguarda le modalità. Il terreno è abbastanza accidentato: Letta appartiene al suo stesso partito, in più è stato fortemente voluto da Napolitano. Infine, nessuno può escludere che la staffetta a Palazzo Chigi non finisca per indurre Berlusconi in tentazione e fargli rimeditare un ritorno nella maggioranza con tutto quel che ne seguirebbe in termini di stabilità del governo e di tenuta stessa del Pd.

La Direzione Nazionale convocata a sorpresa da Renzi per il prossimo 20 febbraio ha perciò tutto il sapore di un appuntamento decisivo. Ad alimentare questa sensazione contribuisce anche il faccia a faccia previsto per il giorno prima tra Letta e Giorgio Squinzi, il leader di Confindustria protagonista negli ultimi giorni di una serie di dichiarazioni micidiali contro l’immobilismo di Palazzo Chigi. Se gli stessi toni dovessero caratterizzare anche l’incontro tra i due, nulla di più facile che il giorno dopo Renzi si decida a chiedere al premier di togliere il disturbo e a garantire a Napolitano una chiusura rapidissima della crisi. Nel Pd di certo non si strapperebbero i capelli. Anzi, è da mettere nel conto che in fondo la vecchia guardia possa persino auspicare che Renzi venga distratto dal disbrigo degli affari di governo e allentare la sua presa sul partito. Anche gli alleati di maggioranza non la vedrebbero male. Soprattutto il Ncd di Alfano la considererebbe una polizza sulla durata della legislatura. E per un partito che ha scommesso tutto sul tempo, sarebbe tutt’altro che poco. Ma a trarne giovamento sarebbe lo stesso Cavaliere, cofirmatario con Renzi del progetto di riforma costituzionale ed elettorale. Lasciare un marchio indelebile sulla Terza Repubblica dopo aver fondato la Seconda equivarrebbe per lui ad un lasciapassare per la storia. Insomma, la caduta del governo è destinata a produrre più benefici di quanto non arrechi la sua permanenza. E questo spiega perché la sorte di Letta appare più che mai appesa ad un filo.

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