E se a Renzi mancasse il “quid”? Il suo tentativo non suscita entusiasmo e i problemi crescono con il passare dei giorni

19 Feb 2014 10:10 - di Gennaro Malgieri

Non sembra esserci grande entusiasmo intorno alla costruzione del governo Renzi. Si registrano  più  diffidenze e le perplessità che  aperture di credito. Sarà per le modalità con cui il leader del Pd ha cacciato Letta per prenderne il posto; sarà per le incompatibilità che vengono evidenziate nella squadra che intende varare; sarà per l’incomprensibilità degli obiettivi che si propone e per le troppe manovre da antica politica a cui si sta piegando, ma al premier incaricato pare proprio che manchi quel quid per creare aspettative che pure venivano prospettate.

E’ probabile che le furbizie non paghino (e non è certo stata una bella mossa quella di defenestrare il suo predecessore dicendogli poche ore prima di stare tranquillo), così come giocare su più tavoli al fine di fregare uno dei possibili alleati, Alfano, e costringerlo a stare dalla sua parte agitando spettri come la riforma elettorale, le elezioni anticipate e perfino l’appoggio di una pattuglia si senatori berlusconiani transitati al Senato nel gruppo Gal.

Si avverte poi intorno a Renzi un eccesso di svecchiamento corredato  dall’inserimento nella compagine governativa di elementi di spicco del suo inner circle, unitamente al ripescaggio (tutto da verificare, ma il tentativo è in atto) di chi proprio “nuovo” non è. Si parla apertamente di Franco Bassanini alle Finanze, con conseguente smembramento del Ministero dell’Economia: sarebbe questo  indice di discontinuità? Il fatto poi che autorevoli personaggio – da Prodi a Letta, passando per tecnici come Lucrezia Reichlin – gli abbiano detto di no per guidare la politica economica e finanziaria e lui abbia deciso di ripiegare (al momento) su Del Rio al quale grandi competenze in materia non gli si riconoscono, ha contribuito negli ultimi giorni a spegnere gli ardori he s’erano accesi.

Il rapporto con Il Nuovo centrodestra rimane tuttora problematico e se pure si stempererà, il rapporto non sarà facile. Insomma navigare su una stessa barca si presenta arduo e Renzi comincia a capirlo, tanto da mettere in conto un ulteriore slittamento della presentazione della lista dei ministri al capo dello Stato. Che la sua avventura non fosse una passeggiata di salute, lo sapeva benissimo. Ma certo non immaginava che tra consultazioni formali, informali, sondaggi personali e tentativi di convincimento occulti e palesi i giorni sarebbero passati in fretta. E non è detto che ce la faccia.

Se con il Ncd non raggiunge un’intesa forte sul programma, cedendo ad alcune richieste degli alfaniani che cozzano con quelle che il Pd ritiene delle priorità sulle quali non può transigere, la soluzione della crisi inevitabilmente si allontana. Allo stato, il tentativo ci appare più prossimo al fallimento  che alla soluzione. E se non dovesse riuscire, non resterebbe che la strada delle elezioni anticipate che Napolitano rifiuta perfino di prendere in considerazione.

Renzi, insomma, è abbastanza “incartato”, come si dice. Impressiona il fatto che neppure dal suo partito – a parte i pasdaran che s’è portato appresso – vengano incoraggiamenti decisivi. Apprendiamo che ieri ha incontrato il “rottamato” più eccellente, D’Alema. Notizia sensazionale se l’ex-premier gli avesse dato consigli di strategia. Invece sembra essersi limitato a raccomandare la riconferma di Massimo Bray, direttore di “Italianieuropei”, a ministro dei Beni culturali. Quando si dice che la vecchia politica non muore mai…

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