Casini, il democristiano invecchiato che vira a destra per stanchezza

1 Feb 2014 20:40 - di Corrado Vitale

Un coro di violini ha accolto la virata a destra di Casini. Da Ncd a FI è tutto un «bentornato Pierferdinando». I più entusiasti sono naturalmente i neocentrodestri di Alfano, con i quali il leader dell’Udc dovrebbe stabilire le intese più strette. E la possibilità di tali strette intese la si intuisce anche dal modo in cui lo stesso vicepremier risponde a Casini: «Adesso dobbiamo tutti insieme lavorare per un più forte raccordo delle forze popolari e alternative alla sinistra, proprio mentre Renzi porta il Partito Democratico verso il partito socialista europeo».

A questo punto una domanda sorge spontanea: che cosa faranno i centristi, in particolare i montiani (ex e doc)? Certo, non è che stiamo parlando di sterminate legioni elettorali. Però, di fronte all’opinione pubblica moderata (o a quello che ne rimane), non è indifferente stabilire se la sempre più probabile implosione del centro porterà più acqua al mulino del centrodestra a trazione berlusconiana che a quello del centrosinistra a trazione renziana. È una domanda che la montiana Lanzillotta ha posto subito (e perfidamente) ai suoi colleghi del gruppo dei Popolari per l’Italia: «Ora aspettiamo di sapere dai nostri amici Dellai, Marazziti, Olivero se la loro cultura politica abbia qualcosa a che fare con questo centrodestra». La risposta di Dellai e Olivero non s’è fatta attendere, ma è stata un capolavoro di reticenza: «Siamo e resteremo nello spazio, piccolo o grande che sia lo vedremo, del popolarismo». I due centristi vogliono evidentemente capire bene in che cosa si concretizzerà alla fine l’iniziativa di Casini. Ma riesce difficile immaginare che l’ex segretario delle Acli (Olivero) e uno dei fondatori della fu Margherita (Dellai) possano effettivamente seguire il leader dell’Udc nel suo rinnovato abbraccio con il centrodestra.

Di certo una stagione sembra definitivamente tramontata: quella del neocentrismo, un pulsione che sarebbe però riduttivo considerare soltanto come espressione di una mai sopita nostalgia per la vecchia Balena Bianca. Certo, c’è anche questo. Ma il motivo vero è che il tentativo di riformare un “grande” centro si è in realtà  nutrito, per tutto il corso della cosiddetta Seconda repubblica, dei ritardi e dei fallimenti delle maggiori forze in campo. S’è nutrito, soprattutto, della mancata riforma del sistema politico e della insufficiente modernizzazione del Paese, nonostante tutte le promesse che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni di storia italiana. Ora l’ex rottamatore Renzi e l’ever green Berlusconi rilanciano la promessa di riforma. Ma a sostenerla non sono più l’entusiasmo e l’ottimismo dell’Italia di vent’anni fa, quanto piuttosto la disperazione e la stanchezza di un Paese allo stremo, e senza più prove d’appello. La “conversione” di Casini al bipolarismo è la presa d’atto di questa nuova situazione.  Ma, dalle sue parole, non è difficile intuire che, anche per lui,  si tratta di  una “conversione“ più per stanchezza che per reale convinzione.

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