Incassi a palate per il nuovo film di Checco Zalone che celebra la rivincita dei post-vitelloni

4 Nov 2013 12:53 - di Priscilla Del Ninno

Sole a catinelle, risate a crepapelle e… soldi a palate: è bastato un solo weekend a Checco Zalone per battere i suoi stessi primati al box office. Diretta da Gennaro Nunziante, distribuita da Medusa, l’ultima fatica di Checco Zalone, Sole a catinelle, ha sbancato al botteghino: 18 milioni e 600 mila euro, di cui 5 e mezzo incassati solo nella giornata di domenica, facendo segnare il record storico d’incassi: basti pensare infatti che, nei primi due giorni di programmazione, (il film è uscito giovedì), ha totalizzato quasi otto milioni. «Speriamo che domani incassi un po’ meno – aveva commentato sarcasticamente Zalone prima del weekend – così ci rilassiamo tutti». «Un successo – ha rimarcato invece più seriosamente il produttore del film, Pietro Valsecchi – che è di tutti: una boccata d’ossigeno per gli esercenti dopo la stagione grama vissuta fino ad ora, e per tutti gli operatori che vogliono fare bene». Con Sole a catinelle, dunque, il terzo titolo del comico pugliese (al secolo Luca Pasquale Medici), Zalone supera se stesso dopo una doppietta straordinaria con l’esordio-rivelazione di Cado dalle nubi e poi con Che bella giornata, con la metereologia e gli stratosferici incassi a fare da comune denominatore ai successi zaloniani. Il che, tradotto in cifre critiche che hanno il semplice scopo di rileggere in controluce, e argomentare, introiti francamente “fantascientifici” per il nostro cinema, significa aver come minimo intercettato lo spirito del tempo e i gusti dello spettatore, anzi di milioni di spettatori, rapiti – come già il pubblico pagante all’era dei fasti della commedia all’italiana – dal guardarsi allo specchio sul grande schermo, scoprendosi, melodrammaticamente, a ridere di se stessi, dei loro tic e dei loro atavici vizi.

Così, tanto per rimanere in tema di confronti cinefili e archetipi sociologici, in questo involontario sequel barese del capitolino In viaggio con papà (con Sordi e Verdone), il protagonista del road movie parte alla volta del Molise. Alle sue spalle sfila dunque non già l’Italia pre-berlusconiana degli arrivisti e dei faccendieri, degli esclusivi party a bordo piscina nella Sardegna meta di pellegrinaggio obbligato di vip e politici, ma quella un po’ meno blasonata – e rigorosamente cafonal – che fa da sfondo ai protagonisti, (un padre e un figlio di dieci anni interpretati appunto da Zalone e Robert Dancs ), dal cuore di una Toscana miliardaria popolata da chic di sinistra, fino all’epicentro glamour di Portofino, luogo di ritrovo di ricconi e imprenditori da strapazzo. In primo piano lui, Zalone – il cui nome d’arte, guarda caso, in dialetto barese equivale all’espressione “che cozzalone”, che significa appunto “che tamarro” – protagonista e vittima autoironica di un parodistico viaggio premio promesso al figlio in cambio di una pagella irreprensibile, e sullo sfondo, un’umanità varia fatta di cialtroni, truffatori, corrotti e corruttori, megalomani e venditori di fumo.

Tutti, naturalmente, sotto le mentite – e comiche – spoglie di insegnanti, psicologi, industriali, operai, logopedisti, naturalisti e giornalisti, sedicenti artisti e aspiranti registi, che tra yoga e mode culinarie all’ultimo grido, ora comunisti, ora massoni, si rivelano sempre e comunque qualunquisti. Uno spaccato sociale in cui la lotta di classe – affidata all’interpretazione della moglie di Zalone nel film – risulta datata come le trasmissioni giornalistiche di sinistra che la vogliono raccontare, e in cui il magma narrativo è amalgamato anche dalle famose canzoni neo-melodiche che hanno reso famoso il comico di Zelig. Un copione, quello di Sole a catinelle, che include quasi tutti, tranne i politici, volutamente esclusi da questa rapsodia parodistica che oscilla tra comicità surreale e cabarettistica, tra risate di pancia e risate intelligenti, frutto di un’ilarità bipartisan e che sancisce un nuovo genere nazional-popolare: quello reinventato da Zalone, e che punta sull’Italia dei post-vitelloni, un po’ più cialtroni dei mitici epigoni felliniani e decisamente più autoironici del “terrunciello” di Abatantuono, figli dell’individualismo senza ritorno e dello sdrammatico a tutti i costi. Quello che rivendica in positivo la riscossa dell’uomo medio, protagonista capace si scrivere ogni giorno una nuova pagina dell’autobiografia in fieri di una nazione confusa e smarrita e, soprattutto, di riportare al cinema gli italiani, provati dalla crisi, ma incoraggiati da Checco Zalone a riderci sopra.

 

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