Libia nel caos, sequestro-lampo del premier Zeidan. La Nato era pronta a intervenire

10 Ott 2013 11:51 - di Redattore 89

La Nato si era detta pronta a intervenire in Libia, purché a chiederlo fossero le autorità nazionali. Ma poco dopo è stato annunciato il rilascio del premier libico Ali Zeidan, rapito all’alba a opera di un gruppo di ex ribelli.

Ma, al di là del “lieto fine”, quanto accaduto oggi fa cadere anche gli ultimi eventuali veli sull’entità del caos che regna nel Paese e dimostra quanto complicato sia orientarsi nella galassia del potere locale. Non a caso lo stesso segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, chiedendo l’immediato rilascio di Zeidan, aveva detto di essere in attesa della conferma che si fosse trattato di un rapimento.

Il dato certo è che il premier libico è stato “preso in custodia” da un gruppo che ha partecipato alla rivoluzione e che sarebbe identificabile con la “Camera dei rivoluzionari di Libia”. Nessuno in Occidente potrebbe vedere ambiguità in quest’atto criminale, tanto più che la cattura di Zeidan è stata presentata come conseguenza dell’arresto di Abu Anas Al Libi, uno dei leader di Al Qaeda, da parte degli Stati Uniti. «L’arresto giunge dopo una dichiarazione di John Kerry sulla cattura di Abu Anas al-Liby, dopo aver detto che il governo libico era al corrente dell’operazione», ha detto un portavoce degli ex ribelli. Ma «arresto» è la parola chiave, perché serve a presentare l’accaduto come un’azione che rientra tra le prerogative legittime di chi l’ha compiuta.

Per capire fino in fondo la situazione bisogna tornare a monte, al momento in cui, l’acerrimo oppositore di Gheddafi Zeidan assume il potere e ingaggia questi ex ribelli alqaedisti per gestire la sicurezza a Tripoli, di fatto inserendoli nell’establishment e nei gruppi che nella nuova Libia post-rivoluzione esercitano un potere che è almeno legittimato, se non proprio legittimo.

La Procura generale libica ha smentito che dai propri uffici sia partito il mandato di arresto, come invece avevano sostenuto gli ex ribelli, e ha annunciato che perseguirà i colpevoli. Ma altri indizi indicano quanto sia labile il confine tra autorità legittime e potere illegittimo.

Il primo è che, secondo quanto riferisce l’agenzia Lana, il premier, che pare stia e sia trattato bene, sarebbe trattenuto in un ufficio del Dipartimento anti-crimine, che è una sezione del ministero dell’Interno. Il secondo è che proprio dal Dipartimento è stata rivendicata l’emissione del mandato d’arresto. «Ali Zeidan – ha detto il portavoce dell’ufficio, Abdel Hakim Albulazi – è in custodia per un mandato di arresto emesso dal Dipartimento”. Il terzo, ancora più significativo, è stato l’annuncio di una conferenza stampa del governo, dato sempre dall’agenzia Lana, che ha usato queste parole: «Nelle prossime ore si terrà una conferenza stampa per chiarire la posizione del governo in merito all’arresto del suo presidente».

Di nuovo la parola «arresto», che va sommata a uno strano attendismo da parte dell’esecutivo. Tripoli, infatti, ha subito fatto sapere che «il governo e il Congresso generale nazionale (il Parlamento, ndr) affronteranno questa situazione», ma non ha espresso il proprio «sconcerto», come ha fatto, per esempio, il Consiglio comunale di Misurata, che pure si è riunito d’urgenza.

E da qui, forse, la prudenza di Rasmussen di fronte a una situazione che, piaccia o meno, è comunque conseguenza dell’intervento straniero in un Paese sovrano.

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