Chi ha paura del museo del Pci? Tra le cose che l’Italia teme di più c’è proprio la memoria storica

28 Ott 2013 12:19 - di Redattore 89

La prima reazione è di sorpresa: davvero non c’è nessuno che vuole fare un museo del Pci? A raccontare la storia di Mauro Roda, custode di memoria e memorabilia del defunto partito comunista, è Repubblica di oggi. Il bolognese Roda, che oggi ha un piccolo ufficio nella sede cittadina del Pd, presiede la “Fondazione 2000”, una delle fondazioni a cui, quando nacque il Pd, furono conferiti i beni del vecchio partito. Beni materiali, ai quali si aggiunsero i beni della memoria quando le sedi furono messe in dismissione e Roda e altri come lui si preoccuparono di metterne in salvo il contenuto. Manifesti, documenti, bandiere, fotografie, volantini, poster, giornali, lettere che raccontano la storia, come quelle di Togliatti o di don Dossetti. C’è perfino, in questo enorme e multiforme archivio, il torchio con cui durante il fascismo veniva stampato clandestinamente l’Unità. «Ho bussato a molte porte. Molte. Nessuna risposta», ha raccontato a Repubblica Roda, spiegando che i no sono stati motivati con un «non è ancora il momento», ma senza indicare esattamente chi ha declinato l’offerta. È il quotidiano diretto da Ezio Mauro a fare delle ipotesi: «Grandi cooperative, associazioni di sinistra».

Sorpresa, si diceva, perché finora siamo stati tartassati da messaggi per cui se una storia non si poteva raccontare era quella della destra. Messaggi proposti proprio da quella sinistra che ora applica la stessa logica anche a se stessa.

Cosa accade, dunque? In realtà, a rifletterci appena un attimo, nulla di sorprendente. Perché, a rifletterci appena un attimo, tutto torna: ormai non è più questione di parte, ormai ci troviamo di fronte a una politica che, seppure con gradazioni diverse, ha paura della storia tout court. Gli indicatori di questa situazione sono molti e l’ultimo, macroscopico, è quanto accaduto intorno alla morte di Erich Priebke, dai funerali alla legge sul negazionismo che proprio per un deciso intervento degli storici non è andata in porto. Ma di esempi se ne potrebbero fare a decine, a partire da quelli tutto sommato di piccolo calibro come le contese sulla toponomastica per arrivare al fatto che la legge del 2007 che pone 30 anni come limite ai segreti di Stato resta sostanzialmente disattesa.

La vicenda del museo del Pci non fa che confermare, dunque, che il nostro Paese ha una sua intrinseca difficoltà a storicizzare, di cui molto si è già discusso e si continuerà a discutere. Ma mentre questo dibattito può (forse) avere un senso quando si parla di rivelare fatti che hanno a che vedere con la ragion di Stato e la sicurezza, molto meno sembra averlo quando si traduce nella volontà di negare una storia come quella dei partiti che è stata sotto gli occhi di tutti e che, nel bene e nel male, è stata anche storia di popolo e storia del Paese a pienissimo titolo. In questo caso si finisce in quella forma di censura col torcicollo che, negli anni, la sinistra ha esercitato con tale convinzione da farla diventare in fine anche autocensura.

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