Sul web cresce il fronte “via dall’euro”. Ma l’unica proposta sensata viene da Alemanno

9 Set 2013 19:00 - di Marcello De Angelis

Una serie infinita di link, manchette e vignette, le banconote con l’immagine di Giuseppe Verdi messe sull’altare, la lira idolatrata, petizioni web che chiedono il ritorno alla vecchia moneta e un nemico da abbattere: l’euro. Da mesi e mesi monta la protesta. Una protesta che continua ad allargarsi a macchia d’olio, non si tocca con mano, sfugge, è incontrollabile. Grillo l’ha capito e cerca da tempo di cavalcarla, con frasi buttate là tanto per far rumore. Ma anche lui non riesce a metterci il cappello, perché è un’ondata bipartisan, non etichettabile. Il ragionamento è semplice: abbiamo aderito alla moneta unica europea e non si parla d’altro che di tirare la cinghia: prima la convergenza e l’eurotassa, voluta da Romano Prodi, poi la necessità di mantenere un cambio fissato a livelli irresponsabili, quindi il programma di austerità per non perdere il treno con gli altri Paesi di Eurolandia e adesso la guerra allo spread tra Btp e Bund che ha addirittura portato alla caduta del governo Berlusconi nel corso della passata legislatura. Allarmi veri e allarmi fittizi hanno interagito insieme e oggi impediscono agli italiani di decidere in casa propria e di adottare i provvedimenti necessari per uscire dalla crisi e rilanciare l’economia. Famiglie, commercianti, imprenditori, lavoratori e pensionati, in difficoltà economiche e con i redditi ridotti all’osso tuonano contro Francoforte, la Germania e la Merkel. E allora bisogna riportare la calma, valutando il malcontento popolare, intrepretando quel che la gente sostiene e dare una risposta che garantisca un equilibrio senza derive stile grillino, derive che – come dimostrano i fatti – non portano mai a nulla. Proprio per questo sarebbe opportuno che tutti ragionassero sulle parole di Gianni Alemanno, che invita a una serena riflessione sull’euro che «sta creando pesanti vincoli recessivi alla nostra economia» e propone uno scenario che parte dalla rinegoziazione del fiscal compact, il patto di stabilità e i meccanismi che penalizzano le nostre imprese. L’uscita dall’euro non è vista come un’avventura, ma come un percorso concreto in grado di ridisegnare il nostro rapporto con l’Europa che oggi si basa su un paradosso. «Noi – viene fatto rilevare –  siamo subalterni alla Ue e veniamo trattati malissimo, nonostante i nostri versamenti superino le contribuzioni che riceviamo da Bruxelles». Si esce, quindi, non in maniera avventuristica, ma «aprendo un negoziato serio». Per andare dove? Si vedrà. Intanto riconquisteremmo la nostra libertà e, ritornando padroni in casa nostra, potremmo avviare i processi virtuosi che oggi ci vengono impediti dal cappio dell’euro.

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