Su Telecom e Alitalia il governo deve fare la sua parte, Letta non può cavarsela solo appellandosi al mercato

26 Set 2013 19:16 - di Giovanni Centrella

Le vicende Alitalia e Telecom sono la rappresentazione più evidente di quanto sia sbagliato e pericoloso continuare a viaggiare sulla strada del rigore.  Si è perso il conto ormai degli anni trascorsi a cercare l’equilibrio dei conti pubblici tagliando servizi e tartassando di tasse e tariffe sempre più salate il ceto medio-basso, disinteressandosi dell’economia reale e inseguendo solo la finanza. Ce la siamo cercata, è vero, non siamo stati diligenti nei compiti a casa, per ragioni che non possono essere ricordate in questa sede non abbiamo saputo sfruttare al meglio il “treno dell’Europa”.  E questo treno, adesso, sta letteralmente travolgendo il nostro Paese, nel bel mezzo di una crisi politica, oltre che economica, senza precedenti dalla fine dell’ultima guerra a oggi. Inutile piangere sul latte versato, il presente è fin troppo preoccupante e ora rischia di portarsi via pezzi importanti del nostro patrimonio industriale,  già fortemente depauperato da un processo di desertificazione industriale, per arginare il quale non si è fatto nulla o, meglio, si è fatto il contrario di ciò che andava fatto. Con l’eccesso di rigore è stato innestato un meccanismo perverso di decrescita infelice che non può essere fermato senza farsi del male. Nel mezzo, lavoratori e pensionati e le piccole e le medie imprese che non ce la fanno più. Visto che l’Italia sta declinando anche sotto i colpi di una disoccupazione, in primis giovanile e meridionale, lanciata al galoppo, qualcuno nelle stanze del governo si sarebbe dovuto mettere a vigilare già da tempo sulle vicende finanziarie e industriali di due aziende come Alitalia e Telecom. Sia sulla prima, di una delicatezza tale per gli interessi pubblici da meritare un allarme del Copasir, sia sulla seconda lo Stato ha versato negli anni fiumi di denaro, ha sacrificato posti di lavoro e professionalità, mettendo a repentaglio ancora una volta gli interessi dei piccoli risparmiatori, che poi coincidono per la maggior parte con le persone da noi difese e rappresentate. Non vogliamo lanciare proprio in questo momento altri strali sul governo, ma la storia dello Stato che non può influire sulle scelte di aziende private anche stavolta non regge. Bisogna da parte degli uomini delle istituzioni fare ricorso a tutta la scorta di dignità e di “furbizia” nazionale ancora rimasta.

*Segretario generale Ugl

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