«Non si parli di colpo di Stato»: Napolitano lancia moniti al Pdl ma anche lui è sotto assedio dei pm

26 Set 2013 13:33 - di Redazione

Il Colle, anche stavolta, s’indigna con il Pdl, nello stesso giorno in cui i giudici che lo intercettarono indebitamente per l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia tornano ad assediarlo con la richiesta di una testimonianza in aula. Ma Giorgio Napolitano sui magistrati non spende una parola, ne ha solo per il centrodestra che minaccia le dimissioni in massa in caso di decadenza del suo leader. «Non occorre neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un “colpo di Stato” o una “operazione eversiva” in atto contro il leader del PdL. L’applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge, è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto», afferma il presidente della Repubblica in una nota. Poi si rivolge al Pdl: «C’è ancora tempo, e mi auguro se ne faccia buon uso, per trovare il modo di esprimere – se è questa la volontà dei parlamentari del Pdl – la loro vicinanza politica e umana al Presidente del PdL, senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento», aggiunge  Napolitano. « È dato costitutivo di qualsiasi stato di diritto in Europa la “non interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indipendenti dell’autorità giudiziaria», dice ancora la nota, nella quale si chiede anche di non fare forzature o interpretazioni sull’ipotesi di uno scioglimento delle Camere.

Tutto ciò accade mentre lo stesso inquilino del Colle torna sotto il mirino di quei giudici contro i quali aveva sollevato il conflitto di attribuzioni. «La testimonianza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano al processo per la trattativa tra Stato e mafia è certamente pertinente e rilevante in questa sede dibattimentale». Il pm Nino Di Matteo insiste sulla sua tesi e durante la relazione introduttiva del processo per la trattativa Stato-mafia (che si celebra davanti alla Corte d’assise di Palermo all’aula bunker del carcere Ucciardone) ha chiamato in causa nuovamente Napolitano.

Il nome del Capo dello Stato era già nella lista testimoniale depositata ai giudici: era stata la procura, infatti, a inizio processo a chiedere di potere ascoltare il presidente della Repubblica. La prima udienza di un processo che ha acceso i riflettori della stampa è iniziata quindi con la richiesta di ammissione delle prove. Dieci gli imputati: Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, il pentito Giovanni Brusca, Massimo Ciancimino e gli ex politici Calogero Mannino e Nicola Mancino. Intendiamo dimostrare che il dialogo occulto tra parti delle istituzioni e i vertici di Cosa nostra proseguì anche dopo la strage di via D’Amelio del luglio del ’92, dopo l’arresto di Vito Ciancimino del dicembre dello stesso anno e dell’arresto del boss Totò Riina avvenuto nel gennaio del 1993», ha affermato Di Matteo. Nella lunga illustrazione delle richieste di prova il magistrato ha precisato che il Capo dello Stato dovrebbe in particolare, riferire su contenuti di una lettera che il consulente giuridico di Napolitano, Loris D’Ambrosio, morto l’anno scorso, inviò il 18 giugno del 2012. Nella missiva D’Ambrosio esprimeva il timore di essere stato usato «come l’ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo di indicibili accordi» facendo riferimento a fatti accaduti tra l’89 e il ’93. Secondo i pm sentire Napolitano è l’unica possibilità per approfondire i timori di D’Ambrosio.

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