Manette all’informazione: nuova condanna (8 mesi di reclusione) per il direttore di “Panorama”

10 Lug 2013 15:45 - di Redazione

«Ancora una volta, si vogliono mettere le manette alla libertà di informazione. Ancora una volta, nel giro di poche settimane, una sentenza colpisce addirittura con il carcere per il suo direttore un giornale che come sempre ha fatto, e bene, solo il proprio dovere: raccontare i fatti, approfondire, criticare, che non significa né offendere né diffamare. E ancora una volta, è un magistrato che si vede dare ragione da un altro magistrato». In una nota durissima Marina Berlusconi, presidente della Mondadori, commenta la seconda condanna in pochi mesi per Panorama. Il Tribunale di Milano ha giudicato il settimanale colpevole di diffamazione nei confronti del pubblico ministero romano Luca Tescaroli, per un articolo pubblicato sul numero del 14 ottobre 2010 e intitolato “Il magistrato che non sbagliava mai”. Il giudice Maria Cristina Pagano ha condannato Maurizio Tortorella, autore dell’articolo, a un’ammenda di 800 euro e il direttore di Panorama, Giorgio Mulè, a otto mesi di reclusione senza la sospensione della pena per omesso controllo. Il pubblico ministero, Paola Barzaghi, aveva chiesto per entrambi i giornalisti una multa di duemila euro e la concessione delle attenuanti.

L’articolo descriveva la polemica mediatico-giudiziaria nata nell’autunno di tre anni fa quando il magistrato, coautore di un libro intitolato Colletti sporchi (Rizzoli), era stato citato in giudizio in sede civile dalla Fininvest per alcuni riferimenti contenuti nel saggio e giudicati della società lesivi della propria immagine. Un verdetto che segue quello del maggio scorso che, in relazione a un altro articolo di Panorama sul procuratore di Palermo Francesco Messineo, ha condannato due giornalisti del settimanale a 12 mesi di reclusione (per uno di loro, Andrea Marcenaro, senza la sospensione della pena) per diffamazione e il direttore Mulè a 8 mesi di reclusione senza la sospensione condizionale per omesso controllo. «La mia colpa – commenta Giorgio Mulè – è quella di aver garantito da direttore responsabile il diritto di espressione a un giornalista, “reato” di cui vado fiero. Gli articoli su Messineo e Tescaroli non contengono una sola frase offensiva o ingiuriosa nei loro confronti, né riportano la falsa attribuzione di un fatto. Alla Camera e al Senato, oltre che al Parlamento europeo, si sta discutendo, proprio a seguito della condanna per il processo Messineo, la necessità di riformare la legge sulla diffamazione abolendo la pena del carcere. A questo punto la riforma è non solo urgente ma anche non rinviabile. Non posso non cogliere, dopo il nuovo verdetto – aggiunge Mulè – la conferma di un sospetto alimentato anche da un’inchiesta in corso a Napoli che mi vede indagato per una strampalata, fantasiosa e assai offensiva ipotesi di corruzione: si vuol mettere a tacere, con il più umiliante strumento qual è la privazione della libertà, una voce non allineata».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *