Il caso Orlandi a una svolta. A trent’anni della scomparsa
Nel trentennale della misteriosa scomparsa (la ricorrenza il 22 giugno) di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un dipendente vaticano sparita nel nulla il 22 giugno del 1983 nei pressi di Corso Rinascimento a Roma, per la prima volta si sente dire: «Emanuela Orlandi è morta, ma il caso della sua scomparsa potrebbe risolversi. Finora ci sono state molte false piste e molti depistaggi». La dichiarazione, che sembra mettere un punto e annunciare la tanto attesa svolta nell’inchiesta, viene dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, rilasciata nel corso della sua partecipazione ad un incontro della terza edizione del Festival Trame a Lamezia diretto da Gaetano Savatteri. Quasi un annuncio choc, sicuramente una dichiarazione senza precedenti per il carico di fiducia nella tanto attesa conclusione di un’inchiesta, che parte da molto lontano, e che in decenni di investigazioni, interrogatori, depistaggi, snodi cruciali e epiloghi imminenti, ha seguito le piste più disparate: dall’intrigo spionistico internazionale dell’Est ai “Lupi grigi” di Alì Agca, passando per la Banda della Magliana, senza escludere complotti interni al Vaticano e ipotetici scenari a sfondo sessuale. Un rebus che solo fino a poche ore fa sembrava senza possibilità di soluzione, anche perché – sempre a detta del procuratore aggiunto di Roma, Capaldo – «La verità sulla fine di Emanuela non si è trovata per molto tempo, perché troppi temevano che dietro questa storia si nascondesse una verità scomoda». Una verità, comunque, occultata nel tempo in un coacervo di tesi e antitesi criminali, per cui nei decenni gli inquirenti si sono ritrovati a dipanare un’intricata matassa di supposizioni e smentite, verità e menzogne. Un quadro complesso che nelle ultime settimane, con la comparsa sulla scena di Piazzale Clodio del fotografo Marco Fassoni Accetti, si è arricchito di novità significative. Un personaggio controverso, il fotografo cinquantasettenne che si è presentato spontaneamente ai magistrati a fine marzo, dichiarando di essere stato uno dei telefonisti del caso Orlandi, e consegnando un flauto che non si può escludere sia quello appartenuto a Emanuela, anche se le analisi scientifiche non hanno potuto acclararlo con certezza. Nel corso dei vari interrogatori che si sono susseguiti, comunque, Fassoni Accetti ha parlato di movente. Ha fornito dettagli operativi. Ha indicato come obiettivo del rapimento l’intenzione di esercitare pressioni sulla Santa Sede per smentire la pista bulgara nell’attentato a Giovanni Paolo II, ma anche per questioni economiche relative allo Ior-Ambrosiano. Ricostruzioni al vaglio degli inquirenti, fino all’annuncio della svolta nella dichiarazione del procuratore aggiunto Capaldo di poche ore fa.