Rodotà torna in pista per guidare la commissione sulle riforme. E cala il gelo con i grillini

15 Mag 2013 11:54 - di Romana Fabiani

Archiviata l’esperienza dolorosa della corsa al Colle, Stefano Rodotà potrebbe tornare in pista al timone del processo per avviare le riforme costituzionali, gradito anche al Pdl. Potrebbe, il condizionale è d’obbligo anche se Repubbica dà l’operazione per conclusa,perché non è detto che il giurista sponsorizzato dai grillini alla successione di Napolitano accetti il fardello. Il primo a volerlo sarebbe Gaetano Quagliariello per coadivarlo nel restyling della Costituzione. Non si tratterebbe più di una Commissione per le riforme, come annunciato da Letta in Parlamento, ma di un comitato che dovrebbe arrivare già nel Consiglio dei ministri in programma venerdì. A comporlo dovrebbero essere 20 membri, scelti all’interno di una rosa di costituzionalisti  redatta da deputati e senatori su richiesta del ministro per i rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. Modello bipartisan, dunque, con l’apporto di tutte le forze politiche, si fanno i nomi dei democratico Stefano Ceccanti e Luciano Violante, di due collaboratori di Quagliariello, Nicolò Zanon e Tommaso Edoardo Frosini,  e di Michele Ainis, vicino a Scelta civica. Finirà male come la Bicamerale, di dalemiana memoria? Il comitato verrà schiacciato dai veti incrociati durante i lavori, magari proprio quando le riforme sembrano in dirittura d’arrivo? Franceschini è ottimista, convinto che il clima sia favorevole (magari tenendo fuori per il momento la legge elettorale e la riforma della giustizia). L’esploratore-ministro per le riforme è al lavoro mantenendosi molto cauto sul fronte del Porcellum. Parla di «manutenzione minima», allo scopo di avere un meccanismo diverso da quello attuare qualora fosse necessario andare a votare. «Per questo – spiega Quagliariello – penso a una clausola di salvaguardia. Del resto, si tratta di correggere una situazione alla Mike Bongiorno, ovvero alla “lascia o raddoppia”». Tutti a parole considerano spropositato l’abnorme premio di maggioranza che consente al partito che prende anche uno spicciolo di voti in più, come è avvenuto con il Pd, di portare in Parlamento un esercito di parlamentari “premiati”.

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