Pallante contro il nemico Togliatti. Un precedente del caso Preiti?
Gli spari di domenica fuori Palazzo Chigi mentre i neoministri del governo Letta si apprestavano a giurare riecheggeranno a lungo: nella quotidianità dei carabinieri colpiti (per uno dei quali si parla in queste ore di un danno permanente alla colonna vertebrale), e nella storia di un Paese, nella cui memoria nazionale ancora deflagrano i colpi sparati 65 anni fa contro Palmiro Togliatti. È un’assolata giornata di fine aprile, così come era una calda giornata d’estate il 14 luglio 1948, a fare da sfondo al tragico gesto di un folle: ieri il disoccupato Luigi Preiti, armato di follia ammantata di disperazione. Decenni fa un esaltato che la cronaca definì prontamente, senza poi dimostrarlo mai nei fatti, un giovane fascista, Antonio Pallante, deciso ad eliminare il pericolo rappresentato dal “Migliore”. Due killer solitari appostati negli stessi luoghi – non più di cento metri tra piazza Monte Citorio e piazza Colonna separano il punto dell’aggressione di 65 anni fa e l’agguato di domenica – e pronti a far esplodere rabbia e delirio di onnipotenza. Pallante comprò con pochi soldi una calibro 38, praticamente un ferrovecchio, e cinque pallottole di tipo scadente, con una possibilità di penetrazione assai limitata. Pochi spicci in tasca, e il biglietto del treno pagato con un prestito della madre, hanno portato a Roma Preiti.
Hanno agito da soli, disperati pericolosi verso la loro avventura di sangue, spinti entrambi da frustrazione e confusione, pilotati dall’odio alimentato nelle piazze contro il Palazzo, trasformato ancora una volta nel bersaglio contro cui fare fuoco. Partì dalla Siclia per Roma Pallante: due mesi prima il Pci aveva perso le prime elezioni politiche repubblicane ed era stato mandato all’opposizione dalla Democrazia Cristiana. Si è mosso dalla provincia calabra Preiti, pronto a spargere sangue nel primo giorno di vita ufficiale del governo. Per lui il futuro giudiziario è cominciato ieri. Pallante, invece, processato e condannato nel ’53 a dieci anni e otto mesi di reclusione – pena poi ridotta, che vide anche tre anni condonati e infine l’uscita dal carcere per amnistia – ha mimetizzato la sua esistenza nella realtà odierna di anonimo pensionato catanese. Appartiene al passato: un passato tornato nelle ultime 24 ore di potente, drammatica, attualità.