Il ricordo del rogo di Primavalle. Giampaolo Mattei: i miei fratelli non vengano usati per creare nuovi scontri

13 Apr 2013 10:04 - di Redattore 54

Una pagina intera del Corriere della Sera è dedicata oggi al quarantesimo anniversario del rogo di Primavalle (avvenuto il 16 aprile del 1973) in cui persero la vita Stefano e Virgilio Mattei. È una lunga, composta e commovente conversazione di Giampaolo Mattei, che all’epoca dell’eccidio aveva 4 anni, con Aldo Cazzullo. Giampaolo sta preparando una mostra sugli anni di piombo: ci saranno i ritagli dei giornali che all’epoca dei fatti parlarono con infamia di “faida interna” tra missini e ci saranno le foto dei fratelli uccisi, un Virgilio sorridente, e Stefano bambino seduto sul letto. Giampaolo parla anche di un’altra foto, quella in cui compare Virgilio affacciato alla finestra, il volto divenuto una maschera nera a causa del fuoco. Una foto storica ma che non ci sarà. “Lo so – dice Giampaolo – che è considerata il simbolo della tragedia. Ma è una foto che per la mia famiglia non esiste: abbiamo conservato le pagine dei vari giornali, e hanno tutte un buco in mezzo. Le mie sorelle ogni volta ritagliavano la foto e la gettavano via, per impedire che nostra madre la vedesse. Quando l’immagine appariva ai telegiornali, uno di noi si alzava e si metteva tra la mamma e il video”.

Poi si ricorda la mobilitazione degli intellettuali di sinistra per Achille Lollo, difeso anche da Alberto Moravia e Franca Rame, il clamoroso ribaltamento della verità in base al quale le vittime diventarono carnefici. Fu una delle campagne di mistificazione più infami del dopoguerra. “Lollo oggi è un uomo libero – dice Giampaolo – forse sta in Brasile. Clavo e Grillo fuggirono in Nicaragua, non hanno fatto neppure un giorno di carcere. Non li odio, ma ho dentro tanta rabbia. Quante menzogne, quante prese in giro. Guardi questo libro, non firmato, Incendio a porte chiuse. Montarono la tesi della faida tra missini. Tirarono fuori persino presunte amanti di mio padre, per istillare il dubbio della vendetta passionale…”.

Poi affronta il tema urticante della pacificazione, mostrando che anche un fratello può ricordare senza odio. Parla del sindaco Veltroni, che gli ha fatto incontrare i parenti delle vittime dell’altra parte. L’abbraccio con la madre di Valerio Verbano, l’incontro con il padre di Walter Rossi. “Mettiamo in comune la rabbia e il dolore…”. E si trasmette anche un esempio a chi ha ancora voglia di opposti estremismi. Nell’ambiente di destra c’è chi l’ha presa male. A Giampaolo non è stata perdonata la mano tesa verso chi ha pianto i morti di sinistra. Le sue parole, però, costituiscono la miglior risposta ai fanatici di un culto dei morti che va bel al di là del rispetto e dell’omaggio ai martiri, ma sconfina spesso e volentieri nella strumentalizzazione dei ragazzi più giovani, intruppati nel rito del “presente” come soldatini disciplinati ma inconsapevoli. Ecco le parole di Giampaolo: “Ma io non voglio che i miei fratelli diventino pretesto per manifestazioni di revanscismo fascista e scontri con i centri sociali. I miei fratelli voglio ricordarmeli vivi. Quando nel 2008 ho scritto un libro, La notte brucia ancora, sulla copertina ho messo una loro foto al mare, in costume da bagno, felici…”. Si può ricordare, si deve ricordare, anche fuori da coreografie cupe e anacronistiche.

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