Si apre il “processo” a Monti
Vatti a fidare degli amici. Proprio quelli che gli avevano preparato la strada per andare a Palazzo Chigi massacrando mediaticamente Berlusconi e accogliendolo come il salvatore della patria, gli stanno voltando le spalle nel momento di maggiore bisogno. Le cose vanno male e Monti non è più il nuovo sovrano d’Italia, non fa miracoli. Anzi, se continua così compromette tutto e inguaia l’economia nostrana con una spirale perversa che riduce pesantemente il reddito delle famiglie e blocca l’intero ciclo produttivo. Il popolo del web è in rivolta, dipietristi e sinistra cercano di infilarsi nel dissenso, i sindacati non concedono sconti. Ma quel che salta agli occhi è il repentino cambio di giudizio del Financial Times e del Wall Street Journal. Nello stesso giorno, due attacchi a Monti. E sono attacchi che pesano.
Sono colpi da kappaò
Il Wall Street Journal, in particolare, dedica l’apertura al caso italiano e, alla luce dei più recenti dati economici e di bilancio, conclude che i passi compiuti si stanno rivelando «controproducenti», dal momento che gli ultimi aumenti delle tasse stanno aiutando l’Italia a risanare i conti, ma stanno anche facendo contrarre l’economia con una rapidità straordinaria. In altri tempi si sarebbe detto che la cura produce risultati sul fronte della malattia, ma uccide il malcapitato paziente. E il Financial Times si spinge anche oltre e «parla di rischio instabilità politica», per effetto del «pieno impatto dell’aumento delle tasse», esacerbato «dalla crescita dei prezzi dei carburanti e dal brusco rialzo delle tariffe», ma anche per lo scontro sull’articolo 18. Bacchettate a Monti, quindi, ma anche a Bersani e al Pd e alla Cgil di Susanna Camusso. Sotto accusa c’è l’intera ricetta di questo governo che, invece di frenare la spesa, ha azionato il pedale dell’acceleratore sul versante delle tasse il cui fulcro «è costituito dal prelievo sui redditi, ma anche sui consumi e sui beni immobiliari» che, a giudizio di molti economisti, «ha un maggiore effetto recessivo rispetto a quello che invece avrebbe avuto un salutare ridimensionamento della spesa pubblica». Il risultato? Secondo il Wall Street Journal, «quello che è accaduto in Grecia potrebbe accadere anche in Italia». Senza contare che i drastici interventi fiscali stanno frenando il Pil «con la conseguenza che il fallimento degli obiettivi su debito e deficit non sarebbe più una gran sorpresa». Intanto lo spread è tornato a quota 360 punti.
Cifre da paura
Troppo allarmismo? Affatto. La situazione è sicuramente meno rosea di quanto non lascia intendere lo stesso Monti che, in risposta al Financial Times, esclude possibili manovre aggiuntive, anche se il più importante quotidiano economico del Regno Unito, cita fonti e fa numeri, rilevando che si tratta di «argomenti» contenuti in un documento riservato della Comunità europea circolato al vertice di Copenaghen. Il Pil rischia di contrarsi oltre lo 0,4 per cento, cifra definita «un’ottimistica previsione per quest’anno» perché la situazione economica degli individui e delle famiglie è praticamente al collasso.
Bankitalia completa il quadro
Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale di Bankitalia, parlando a Genova a un convegno su “La famiglia un pilastro per l’economia del Paese”, ha affermato che tra il 2008 e il 2009 il reddito delle famiglie è crollato, con introiti che si sono ridotti del quattro per cento. Il tutto in un momento i cui, a causa della crisi economica, 480mila di quelle stesse famiglie sono dovute intervenire per sostenere «almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro». Insomma, sono state due volte bastonate, una prima perché hanno visto le loro entrate diminuire, una seconda perché sono state chiamate a fare da ammortizzatore sociale proprio mentre erano più in difficoltà. In quella occasione hanno dato fondo alla ricchezza, finanziaria e reale, accumulata negli anni precedenti, ma adesso, tenute in scacco dalle stangate di Monti, che cosa faranno? Certo, avranno più difficoltà a fare da ammortizzatore in un Paese dove lo Stato è spesso assente o latitante.
Tra tasse e disoccupazione
È evidente, infatti, che da allora i redditi non si sono in alcun modo ripresi. Anzi, hanno avuto problemi perfino a tenere il passo con l’inflazione, mentre i contratti si sono rinnovati con il contagocce, la finanza pubblica ha tirato il freno, la disoccupazione è aumentata, migliaia di imprese hanno chiuso, le tasse ci hanno regalato il triste primato di una pressione impositiva che ufficialmente viaggia oltre il 45 per cento ma, nei fatti, ha superato il 50, perché sono in molti a sottrarsi, in tutto o in parte, alle grinfie del fisco. Al danno, quindi, si unisce anche la beffa. La società si mantiene sperequata e alcuni piccoli imprenditori, ridotti alla disperazione (stanno diventando qualche cosa di più di un fatto episodico) non trovano nulla di meglio che togliersi la vita.