Eleganza e politica, ci vorrebbero i consigli di Irene Brin…
Cosa direbbe Irene Brin, la regina del bon ton che furoreggiava negli anni Cinquanta, dei toni di Beppe Grillo? E come guarderebbe le risse della politica? E ancora gli scandali dei tesorieri dei partiti che restituiscono pacchetti di lingotti e diamanti? Per farsi un’idea basta scorrere le pagine di una recente biografia della celebre giornalista, lanciata da Leo Longanesi sulle colonne di Omnibus, scritta da Claudia Fusani (”Mille Mariù, Vita di Irene Brin”, Castelvecchi, pp. 276, € 22). L’autrice intende recuperare dall’oblio una figura essenziale nella storia del nostro giornalismo di costume, colto, brillante, leggero, mai intellettualistico. Di lei ha scritto Indro Montanelli: «Nel 1938 era già la firma di gran lunga più grande tra quelle femminili italiane». Cominciò a scrivere per Omnibus a soli 23 anni (fu Longanesi a creare per lei, che si chiamava Maria Vittoria Rossi, lo pseudonimo di Irene Brin) e fece tesoro degli insegnamenti del suo maestro: nessun conformismo, sfuggire al consenso, giudicare con occhio severo l’ipocrisia generale e i falsi miti di una borghesia qualunquista, e li praticò con un sarcasmo impareggiabile. Risale al 7 gennaio 1950 la prima rubrica della Contessa Clara (nome scelto da Irene Brin per le sue lezioni di stile) sulla Settimana Incom Illustrata che dispensa consigli saggi su come comportarsi a tavola e su come mettersi il rossetto, seguendo un’estetica che aveva il suo modello in Coco Chanel. I copriletti di visone? Roba da mogli di salumieri… L’Italia aveva bisogno di risollevarsi, ma – avvertiva – tenendosi lontana dal cattivo gusto. Anche nell’accogliere le novità: davanti alla tv, suggeriva, mettetevi in pantofole, solo così potrete sopportarne la mediocrità. Morì nel 1968, l’anno in cui la fantasia al potere prendeva il posto dell’eleganza.