È polemica sui fondi all’ente mutilati. E quelli all’Anpi?
L’eredità (economica) delle guerre del passato fa discutere, quella della resistenza no. È questo ciò che risulta dall’inchiesta del sito del Corriere della Sera, che ieri si è occupato dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. Emanuele Bellano, nell’ambito delle inchieste del “Team Gabanelli”, ha indagato sui costi dell’Anmig, ente nato nel 1917 con scopi assistenzialistici verso i feriti del primo conflitto mondiale. L’associazione evoca reminiscenze primonovecentesche che la rendono decisamente retrò. I numeri citati, poi, sembrano effettivamente esagerati, fra contributi, stipendi e spese varie. Razionalizzare, insomma, non farebbe male. Stupisce sfavorevolmente, invece, un certo tono caustico: «L’ultima guerra in Italia – leggiamo – è finita quasi 70 anni fa, quindi immaginiamo che l’Anmig […] stia ormai esaurendo il suo ciclo. Invece, per scongiurarne la chiusura, i dirigenti hanno messo mano allo statuto e cambiato le regole: insieme a invalidi e mutilati nell’associazione, hanno stabilito, possono entrare figli, nipoti e pronipoti. Così gli iscritti invece di diminuire negli anni aumentano e il futuro dell’ente è salvo». È però un lettore che, commentando on line l’articolo, tocca il nervo scoperto: «La guerra è finita da oltre 70 anni anche per l’Anpi, e mi pare che pure loro facciano antrare anche gente che non c’entra niente, pur di sopravvivere». Effettivamente il 1945 è venuto 67 anni fa per tutti quanti: soldati e partigiani, combattenti, mutilati, feriti di ogni schieramento, idea o colore. Nel caso dell’Associazione nazionale partigiani, tuttavia, il fatto di attingere ai contributi statali non fa notizia, né qualcuno ha avuto qualcosa da ridire sul fatto che l’ente abbia deciso anch’esso di modificare lo statuto per aprire ai giovani e tenersi così artificialmente in vita. Ora, qual è il peso dell’Anpi sulle casse dello Stato in termini di fondi, beni immobili, stipendi, contributi etc? Un’inchiesta in tal senso non ci sembra ancora di averla vista. Tra l’organizzazione degli ex partigiani e quella dei mutilati, peraltro, c’è una differenza di cui tener conto: forse non i nipoti e i pronipoti, ma almeno i figli di chi ha combattuto per l’Italia riportandone lesioni permanenti è giusto che siano aiutati, avendo presumibilmente risentito anche economicamente del sacrificio dei padri. Insomma, purché non se ne abusi, in tali situazioni non è affatto uno scandalo l’ereditarietà dei “privilegi”. I “nuovi partigiani”, invece, possono benissimo non avere alcun legame reale con la resistenza e i suoi protagonisti, se non un onirico e discutibile legame “ideale”. Ma si sa: in questa Italia da Cln permanente, solo le guerre e gli eroismi passano in fretta.