Mafia Capitale, la sentenza ribalta i ruoli. Ma è un errore “romanzare” la vicenda

14 Set 2018 11:28 - di Massimiliano Mazzanti
Carminati

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

puntuale come una tassa, esattamente all’indomani della sentenza d’appello al processo Mafia Capitale, LA 7 – emittente di Urbano Cairo che si candida a sostituire Rai 3 nel cuore della Sinistra italiana – manda in onda nientemeno che uno speciale su “L’uomo nero”. Francamente, è alquanto dubbio che Massimo Carminati sia una figura capace di reggere la concorrenza del cosiddetto “prime time” e la lunga vicenda criminale – con un esordio nel gruppo Nar, poi scivolato nella delinquenza comune, com’è accaduto spesso agli ex-terroristi di tutti i colori – non sarebbe poi così interessante, se la si smettesse, in primo luogo, di romanzarla; in secondo luogo, di arricchirla con dubbi strampalati sulle circostanze che avrebbero determinato – a fronte di un’infinità di imputazioni – tanti giudizi di assoluzione a suo favore nei tribunali italiani. Senza fare l’elenco delle amenità ascoltate su La7, proprio a fronte della sentenza di secondo grado sulla rete malavitosa che avrebbe dominato Roma negli ultimi tempi, c’è da chiedersi: cosa si nasconde dietro a tutto questo can-can sul profilo di Carminati? Le novità del dispositivo di questo nuovo giudizio, infatti, sono due: uno riguarda il riconoscimento del carattere mafioso dell’associazione, di cui tutti parlano; l’altro, forse più significativo, è la sostanziosa riduzione della pena ottenuta proprio da Carminati (da più di venti anni a 14, un terzo secco in meno) rispetto a quella ottenuta da Salvatore Buzzi (poco più di un semestre, da 19 anni a 18 e 4 mesi).

Questo secondo particolare della sentenza, pur dovendo aspettare le motivazioni della sentenza per avere un quadro esatto della situazione, di fatto inverte la gerarchia di quella che tutti chiamano “Mafia capitale”. Eppure, mentre si continuano ad ascoltare rievocazioni e “favole nere” su Carminati, di Buzzi si parla ben poco. Perché? Facile a comprendersi: perché fin dall’inizio l’amplificazione del ruolo del “Cecato” è stata funzionale alla strategia mediatica volta a non far comprendere pienamente due aspetti dell’inchiesta: il primo, appunto, che, pur coinvolgendo anche qualche elemento di centrodestra, gran parte degli imputati era legata a doppio filo al Pd e alla sinistra; in secondo luogo, che il “grande affare” di “Mafia capitale” è stata semplicemente l’altra faccia – quella criminale – della dissennata politica dei recenti governi “rossi” sull’immigrazione. C’è un limite alla decenza, nel giornalismo nostrano? Almeno su “Mafia capitale”, pare proprio di no. E basta fare un solo esempio per capire la malafede di certe ricostruzioni che si sono ascoltate anche l’altra sera: se Carminati è stato processato e assolto tante volte, si lascia intendere allo spettatore (o al lettore, a seconda dei casi) che abbia goduto di chissà quali occulte protezioni; mentre mai si ricorda come Buzzi, che è anche stato un detenuto modello e il primo a laurearsi con 110 e lode in carcere, pagò con solo 6 anni di detenzione una condanna a 30 per “omicidio doloso” e, dopo i primi due anni di libertà vigilata, ottenne anche la “grazia”, generosamente firmata da Oscar Luigi Scalfaro. Per altro, giusto per ricordare i fatti, la “carriera criminale” di Buzzi non prese avvio in un clima di tempesta politica e generazionale – come accadde per Carminati -, ma solo ed esclusivamente per soldi: uccise nel 1980 un giovane pregiudicato ventenne, Giovanni Gargano, al quale affidava per l’incasso gli assegni che Buzzi stesso rubava alla banca di cui era impiegato, per timore che questi raccontasse tutto alla Polizia. E rubava al solo fine di permettersi una vita lussuosa. La domanda è retorica: “Mafia capitale” – che regga o meno nell’impianto accusatorio anche l’ultimo vaglio giudiziario, quella della Cassazione – dev’essere primariamente la “banda di Carminati”, affinché non ci si accorga che è stata sostanzialmente la “banda dei negrieri” capeggiata da quanti mascherano sotto una finta solidarietà verso gli immigrati la loro insaziabile sete di guadagno.

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