Alzheimer, uno studio rivela: potrebbe essere infettivo e trasmettersi col sangue

6 Nov 2017 14:52 - di Redazione

Uno studio rimescola le carte sul tavolo della ricerca e rivela: l’Alzheimer potrebbe nascondere una potenzialità infettiva ed essere trasmesso col sangue, o tramite le attrezzature chirurgiche. Il sospetto, del resto, c’era già tra gli studiosi, ma ora è stato ufficialmente formulato e pubblicato su Molecolar Psychiatry il primo studio mirato a rispondere all’inquietante interrogativo.

Alzheimer, uno studio ipotizza che si trasmetta col sangue

E pur essendo la sperimentazione condotta su modello animale, lo studio ha restituito un’evidenza scientifica relativa alla possibilità di una trasmissione attraverso il sangue: in particolare, sarebbe la proteina beta-amiloide che si trasmetterebbe, secondo quanto verificato sui topi, attraverso lo scambio di sangue cui sono stati sottoposti i roditori dal team della University of British Columbia di Vancouver. È noto da tempo che malattie da prioni come la Creutzfeldt-Jakob (o la “mucca pazza”) possono diffondersi attraverso proteine circolanti nel sangue (da qui l’emergenza alimentare di alcuni anni fa sul consumo di carne rossa). Anche l’Alzheimer coinvolge una proteina, appunto la beta-amiloide, che si accumula in placche nel cervello delle persone malate, anche se non è ancora chiaro se siano le placche a creare la patologia o se esse ne siano solo un sintomo. Studi precedenti avevano già raccolto evidenze secondo cui la proteina beta-amiloide può diffondersi esattamente come i prioni. Ora il nuovo studio ha rilevato che quando un topo sano viene in contatto ematico (in pratica i roditori sono stati messi nella condizione di “condividere” il loro sistema sanguigno) con un topo malato di Alzheimer (geneticamente indotto), inizia lui stesso a sviluppare placche amiloidi nel cervello. All’inizio, i topi sani hanno iniziato appunto ad accumulare proteine nel cervello, e nel giro di 4 mesi hanno mostrato uno schema alterato di attività cerebrale nelle aree deputate all’apprendimento e alla memoria. «È la prima volta – assicura Weihong Song, che ha guidato l’esperimento – che si dimostra che la proteina beta-amiloide penetra nel sangue e nel cervello da un altro topo e causa segni di Alzheimer». E quindi, «il team ha mostrato che è possibile indurre le placche nei topi connettendo la circolazione – commenta al New Scientist Gustaf Edgren del Karolinska Institutet di Stoccolma – rafforzando l’ipotesi che la proteina beta-amiloide sia in qualche modo «infettiva», e che potrebbe comportarsi esattamente come un prione».

Studi sull’Alzheimer, i dubbi sulla possibilità di “contagio”

I risultati contraddicono però quanto rilevato dallo stesso Edgren sempre quest’anno, monitorando e studiando 2,1 milioni di pazienti che avevano ricevuto una trasfusione in Svezia e Danimarca. I dati avevano evidenziato che le persone che avevano ricevuto sangue da un malato di Alzheimer non avevano un maggior rischio di sviluppare la malattia. Non solo: sempre secondo lo stesso Edgren, nonostante il suo studio sia stato di grandi dimensioni, c’è la possibilità che il lasso di tempo analizzato sia troppo breve per captare eventuali legami fra trasfusione e demenza. «Abbiamo eseguito un follow-up di 25 anni – dice – forse potrebbe volerci un tempo più lungo perché la malattia si sviluppi. Molti ricercatori temono che si tratti di una proteina davvero infettiva». Gli autori dell’ultimo studio però avvertono: è presto per trarre conclusioni, perché il collegamento del sistema circolatorio nei topi è una situazione che non si applica alla persone. Ma le premesse per approfondire in questa direzione ci sono tutte.

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