Mafia Capitale, il giorno di Luca Gramazio: “Accuse impalpabili, niente riscontri”

24 Mag 2017 21:54 - di Paolo Lami

«Approssimazione, impalpabilità delle accuse, innumerevoli sviste, mancate verifiche».
E’ il giorno di Luca Gramazio al processo cosiddetto Mafia Capitale in corso nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, alla periferia est di Roma.
Dietro alle sbarre della gabbia numero 4, una di quelle da cui gli imputati seguono il processo, l’unico politico di Mafia Capitale in carcere con l’accusa del 416 bis e una richiesta di condanna a 19 anni e sei mesi, manco fosse un serial killer, uno stupratore o una stragista, ascolta, piegato in avanti sulla panca, i suoi avvocati.
La Procura ha mandato in trincea, nell’aula vasta e semivuota, il pm Luca Tescaroli – barba lunga e l’aria stanca – per difendere un teorema giudiziario che vacilla pericolosamente sotto i colpi dei legali dell’ex-capogruppo Pdl in Campidoglio e poi in Regione.

Di fronte al presidente della X sezione penale Rosanna Ianniello, gli avvocati Giuseppe Valentino e Antonio Giambrone passano al setaccio le accuse della Procura romana, elencano, una per una, le incongruenze di una ricostruzione che non sta in piedi. E demoliscono il castello accusatorio.
Emerge che le intercettazioni – pure usate a piene mani dall’ufficio dell’accusa – non sono poi state riscontrate in moltissimi casi dai magistrati. Ci sarebbe voluto poco, dimostrano gli avvocati. Ma, appunto, quel passo non è stato fatto in troppi casi.

Errori marchiani e grossolani “sporcano” il lavoro di mesi. E i testi presentati dall’accusa non hanno aiutato. Anzi. In qualche caso hanno perfino reso ancor più evidenti certi strafalcioni. Date che non tornano, per esempio. Soldi che non si trovano. E senza la prova di quei soldi dov’è la corruzione? Per non dire dell’accusa di associazione mafiosa.

Proprio oggi esce l’ennesimo libro di Lirio Abate, il giornalista che ha fondato buona parte della sua carriera professionale sull‘inchiesta Mafia Capitale. Delirio Abate, lo chiama, ridacchiando perfido, l’avvocato di Carminati, Giosuè Bruno Naso. E sembra proprio che il lavoro del giornalista e quello dei magistrati vadano di pari passo: indimostrati e indimostrabili i fantasiosi racconti di Abate, indimostrate e indimostrabili buona parte delle accuse della Procura romana. Fu proprio Abate ad anticipare di mesi, indovinandola fino alla virgole, chissà come fece, l’inchiesta, quello che poi sarebbe divenuto il cavallo di battaglia del suo grande amico Giuseppe Pignatone.

E ora in quest’aula dove gran parte della stampa ama osservare e vivisezionare con la curiosità dell’entomologo la figura der Cecato riflessa come in un acquario dentro ai maxischermi, va in scena uno spettacolo imbarazzante. Le cose, insomma, non tornano.
Sono molti i capitoli che i magistrati elencano accusando Gramazio di essersi messo al servizio di Buzzi e Carminati e dell’organizzazione. Come quello delle piste ciclabili. Ma le ricostruzioni non convincono.

Gramazio, sostiene la Procura, avrebbe presentato emendamenti e fatto pressioni sulla struttura amministrativa del Comune di Roma per lo stanziamento di fondi riservati a tutte le cooperative sociali – quindi neanche solo a quella di Buzzi – all’interno del bilancio previsionale 2012 di Roma Capitale. Soldi che dovevano servire per la manutenzione delle piste ciclabili e degli argini del Tevere. La Procura ha chiamato quel dispositivo “emendamento Gramazio“. Ma è un’invenzione scenica ottima per i titoloni sui giornali. Ma non per servire la Giustizia.

«E’ pacifico – inizia a demolire il teorema, l’avvocato Giambrone – che tale emendamento fu proposto dalla Giunta di cui Gramazio non faceva parte». Nè, mai, Gramazio si è occupato di “sponsorizzare” questo emendamento. Come, d’altra parte, ha confermato anche un testimone di peso, l’ex-assessore al Bilancio, Carmine Lamanda.
«Senza effettuare ulteriori accertamenti che avrebbero chiarito la realtà dei fatti – dice Giambrone – la Procura ha costruito un’imputazione su ipotesi assolutamente prive di qualsivoglia riscontro obiettivo»..

La Pubblica accusa parla di “conversazioni” che dimostrano l’iperattivismo di Luca Gramazio in seno all’Assemblea Capitolina per portare consenso su quell’emendamento. Ma poi durante la requisitoria, sostiene l’avvocato Giambrone, i magistrati non indicano neppure queste “conversazioni“. Ci sono? Esistono? E se esistono perché i pm non le indicano?
In effetti quello che dice la storia è che l’emendamento in questione viene, appunto, presentato dall’assessore Lamanda.

Per i magistrati romani, Gramazio fece tutto questo per Buzzi, per garantire 1 milione di euro alle sue cooperative. E questo perché, appunto, secondo i pm, l’ex-capogruppo capitolino era lo snodo fra Buzzi e la Pubblica amministrazione.
Senonché l’intercettazione di una telefonata del 16 ottobre 2012 svela che Buzzi cade dalle nuvole: non sapeva assolutamente nulla né dell’emendamento né della quota di un milione di euro riservato alle cooperative sociali. E, nonostante la mole di intercettazioni messa in campo dalla Procura non c’è, ricorda l’avvocato Giambrone, «una sola conversazione in cui Gramazio si occupi di questa vicenda, né con Buzzi, né con qualcun altro».

C’è, invece, una successiva intercettazione del 31 ottobre 2012 nella quale Buzzi, senza sapere, ovviamente, di essere ascoltato, racconta a un suo collaboratore che il Pd avrebbe presentato ben 90.000 emendamenti anche al fine di salvaguardare i fondi destinati alle cooperative sociali che la maggioranza, di cui Gramazio era capogruppo, non voleva più stanziare.

E non va meglio alla Procura quando vengono convocati i consiglieri comunali. «Tutti hanno categoricamente escluso – ricorda l’avvocato Giambrone – l’iniziativa e il coinvolgimento di Gramazio. E negano di aver ricevuto indicazioni nella fase di predisposizione ed approvazione dell’atto».

L’unico momento in cui Gramazio, finalmente, si occupa della questione è quando esplode la rivolta delle cooperative sociali poiché non si trovano i fondi oggetto di stanziamento. Viene occupato l’assessorato all’Ambiente dai lavoratori, alcuni dipendenti delle cooperative minacciano il suicidio. Buzzi si rivolge a tutti, al sindaco, al vicesindaco, ai capistaff, agli assessori, ai dirigenti. E, finalmente, anche a Gramazio. Che mette in contatto il Direttore del Servizio Giardini, Fabio Tancredi con il Ragioniere Generale del Comune, Maurizio Salvi. C’è un clima di proteste e di rivolta fra i dipendenti delle cooperative. E Gramazio chiede ai due di trovare i fondi destinati a tutte le cooperative.

«L’impostazione accusatoria per cui Gramazio si sarebbe concretamente speso per assicurare il consenso istituzionale – dice il legale – è, quindi, frutto di una mera supposizione nonché contraddetto dagli elementi di prova acquisiti».

Luca Gramazio? E’ lì, dietro le sbarre, solo perché ha incontrato qualche volta Massimo Carminati – dice, a sua volta,  l’avvocato Giuseppe Valentino leggendo, da un’altra prospettiva, le ipotesi della Procura – Il rapporto tra loro è stato criminalizzato ma è un rapporto che ha radici diverse».

«Gramazio – spiega Valentino – riteneva legittimamente, e senza timore, di accostarsi a Carminati per mille ragioni. I reati commessi da Carminati sono tutti precedenti al 1981, ad eccezione della storia del furto al caveau. È un uomo che ha attraversato una stagione di follia, patologica e drammatica, è un uomo che Gramazio conosceva».

Della famiglia di Carminati era amico Domenico Gramazio. Dei genitori di Massimo Carminati si parlava con grande rispetto nel nostro ambiente della destra politica – rivela l’avvocato Valentino – Non dimenticherò mai le parole del padre di Carminati quando il figlio era stato ferito e non si sapeva ancora se sarebbe sopravvissuto: “Si è messo contro lo stato, poteva accadere”. Di questa famiglia era amico Domenico Gramazio. Le frequentazioni tra Luca e Carminati sono assolutamente plausibili. La conoscenza, la stretta di mano, la cena ma poi tutto finisce lì».
Lo stesso Carminati è stato esplicito al riguardo: «Io non ho mai dato soldi a Gramazio. E lui non me li ha mai chiesti. Tra l’altro se gli avessi offerto dei soldi il padre mi avrebbe cercato per gonfiarmi di botte. Io conosco il papà di Luca Gramazio, perché è stato legato alla mia famiglia in un momento difficile».

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