Naufragio con 700 morti nel mare di Sicilia: 18 anni al “capitano” tunisino

13 Dic 2016 14:21 - di Monica Pucci

Diciotto anni di reclusione per il “capitano” e cinque anni per il suo mozzo. È la sentenza del Gup di Catania, Daniela Monaco Crea, nei confronti dei due presunti scafisti del “grande naufragio” avvenuto il 18 aprile 2015 al largo della Libia in cui morirono oltre 700 migranti. Soltanto 28 le persone sopravvissute. Tra loro anche due minorenni che si sono costituti parte civile. Imputati erano il “capitano” del natante, il tunisino Mohamed Alì Malek, 27 anni, e il suo mozzo siriano Mahmud Bikhit, di 25.

Per il capitano che causò il naufragio l’accusa di omicidio colposo

I due sono stati condannati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma il ‘capitano’ è stato ritenuto colpevole anche dei reati di omicidio colposo plurimo e naufragio. Gli imputati si sono sempre proclamati innocenti, sostenendo di essere dei semplici passeggeri come gli altri migranti. La Procura di Catania, con i sostituti Rocco Liguori e Andrea Bonomo, aveva chiesto la condanna di Malik a 18 anni e di Bikhit a sei anni e il pagamento di un risarcimento danni di tre milioni di euro. Il mozzo ha accusato anche lui Malek di essere il “comandante”. Quest’ultimo sostiene di avere visto i componenti dell’equipaggio, ma di non averli individuati tra i sopravvissuti. Secondo l’accusa il naufragio “fu determinato da una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell’imbarcazione e le errate manovre compiute dal comandante Malek, che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob”, intervenuto per soccorre i migranti.

La difesa del “capitano”: “Sono italiano”

«Sono stato due anni e mezzo in Italia e ho un figlio piccolo da un’italiana: la voglio sposare e riconoscere il bambino. E’ la verità. L’ho sempre detto, così come ho subito fatto il mio nome e che ero un passeggero», ha detto Mohamed Alì Malek, accusato di essere il capitano del grande naufragio del 18 aprile del 2015 in cui morirono oltre 700 migranti, nel rendere spontanee dichiarazioni nell’ultima udienza del processo col rito abbreviato davanti al Gup Daniela Monaco Crea. Soltanto 28 furono le persone sopravvissute. 

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