Una biografia di Nazario Sauro, l’eroe che affascinò D’Annunzio

27 Nov 2016 11:50 - di Vincenzo Fratta

I distruttivi terremoti che il 24 agosto e il 26 e 30 ottobre hanno colpito l’Umbria, le Marche e il Lazio, ci hanno ricordato come la fascia appenninica dell’Italia centrale sia una zona a forte rischio sismico. Nel 2009 l’epicentro del sisma fu L’Aquila, il cui centro storico è ancora un cantiere, mentre nel secolo scorso a essere colpita era stata la Marsica.

Il 13 gennaio 1915 un terremoto di elevata magnitudo devastò la zona provocando oltre 30mila vittime. La città di Avezzano fu completamente distrutta, con 10.700 abitanti morti su 13mila e un solo edificio rimasto in piedi.

Tra i primi a prestare aiuto, cento anni fa, alle popolazioni colpite, fu il battaglione Mestre formato da un gruppo di sessanta irredentisti istriani e trentini capeggiati da Nazario Sauro, futuro ufficiale della Marina Italiana nella prima guerra mondiale, giustiziato dagli austriaci come traditore e insignito della medaglia d’oro al valore militare.

Nazario Sauro costruì un altare di legno per i terremotati

I volontari di allora non potevano naturalmente giovarsi delle risorse tecniche e dei mezzi di comunicazione di cui disponiamo oggi. Una parte di loro fece tappa ad Ancona per rifornirsi del materiale necessario per i soccorsi e trasportarlo nella Marsica con i camion, mentre il resto del gruppo li raggiunse in treno. La loro area di intervento fu Cese de’ Marsi, ai piedi del monte Salviano, un paese gravemente colpito e rimasto completamente isolato. Con grande sforzo personale i volontari irredentisti provvidero a estrarre i morti dalle macerie e seppellirli, a curare i feriti, a montare le tende e ad allestire una cucina da campo. Nazario Sauro in persona, valendosi della sua esperienza di carpentiere navale, costruì un altare di legno per consentire ai superstiti e ai soccorritori di seguire le funzioni religiose domenicali.

Nazario Sauro, l’amor di patria e l’andar per mare

A raccontarlo è il nipote della Medaglia d’oro, Romano Sauro, che sulla base del materiale raccolto dal figlio del grande Istriano, Libero Sauro, ha dedicato al nonno la biografia: Nazario Sauro. Storia di un marinaio (La Musa Talìa editrice, pp.343, €18). Alla sua stesura hanno contributo anche il figlio e il fratello dell’autore, il primo con degli inserti letterari e il secondo con le illustrazioni, facendo del libro un lavoro collettaneo che trasmette al lettore una continuità generazionale incentrata sull’amore per la patria e sulla passione dell’«andare per mare» che l’esempio dell’eroe irredentista deve aver trasmesso ai suoi discendenti.

Nazario Sauro era nato il 20 settembre 1880 a Capodistria, una città di pescatori e marinai, di origini romane, appartenuta alla Repubblica di Venezia e, dopo il tramonto della Serenissima nel 1797, entrata a far parte dell’Impero Austro-Ungarico. Anche se la sua famiglia era di origine italiana e lui si considerava interamente e indissolubilmente italiano, Nazario era dunque un suddito dell’Imperatore d’Austria. Quando nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia contro gli Imperi Centrali si trasferì a Venezia per arruolarsi nella Regia Marina, era conscio che in caso di cattura non sarebbe stato considerato prigioniero di guerra ma sarebbe andato incontro all’impiccagione per alto tradimento, così come accadrà ai patrioti trentini Cesare Battisti e Damiano Chiesa, al dalmata Francesco Rismondo e all’istriano Fabio Filzi.

Sul patibolo senza ammettere la propria identità

Quando, dopo una serie di missioni navali e sottomarine portate brillantemente a termine fu catturato e riconosciuto da numerosi testimoni, il 10 agosto 1916 andò sul patibolo senza ammettere la propria identità. Voleva morire da italiano così come era vissuto, rinunciando per questo anche all’ultimo abbraccio con la madre. Il suo comportamento fu esemplare: continuò a gridare «Viva l’Italia» finché il sopraggiungere della morte non pose fine alla sua breve ma libera e avventurosa esistenza.

L’ammirazione di D’Annunzio per Nazario Sauro

Il contributo militare di Sauro alla causa nazionale e il suo valore morale furono subito riconosciuti da tutti, dalla stampa italiana ed estera, ai vertici della Marina e al Governo italiano. Il poeta-soldato Gabriele d’Annunzio si recò a Venezia a far visita alla vedova e ai figli e più volte si riferì nella sua predicazione all’eroe caduto. In un appello ai fuoriusciti giuliano-dalmati così scriveva: «Come Buie è la vedetta dell’Istria, collocata nell’alto cuore della terra, così Nazario Sauro è oggi per tutti gli italiani il vertice spirituale della piccola patria che domani sarà franca».

La sottoscrizione lanciata da Mussolini

I parenti di Nazario rimasti a Capodistria furono internati dagli austriaci in campi di prigionia e passarono momenti difficili fino al termine delle ostilità. Per sostenere la famiglia dell’eroe il 10 dicembre 1918 Benito Mussolini lanciò una sottoscrizione sul Popolo d’Italia e il 19 si recò personalmente a Capodistria a consegnare il ricavato all’anziana madre di Nazario. La moglie Nina con i figli poterono tornare in Istria soltanto dopo la vittoria italiana.

Il 10 gennaio 1919, il corpo dell’eroe che dopo l’esecuzione era stato interrato in un’area sconsacrata, fu sepolto con tutti gli onori nel cimitero di Pola. Il 20 gennaio ci fu il conferimento della Medaglia d’Oro.

Durante il ventennio fascista numerosi furono i monumenti e le targhe commemorative dedicati a Nazario Sauro sia nella sua Istria che nel resto della Penisola. A seguito dalla sconfitta dell’Italia nella Seconda guerra mondiale il sacrifico dei patrioti irredentisti fu vanificato. Le popolazioni istriane e della Dalmazia italiana subirono prima le violenze dei partigiani comunisti e poi, a fronte alla decisione delle potenze alleate di cedere quella parte d’Italia alla Jugoslavia, dovettero riparare esuli in Italia. Per evitare che la salma dell’eroe marinaio subisse lo scempio che era stato riservato a tutti i simboli dell’italianità di quelle terre, il 7 marzo 1947 la bara di Nazario Sauro seguì la sorte di migliaia di istriani e dalmati: issata avvolta nel Tricolore sul cassero della motonave Toscana, lasciò la città di Pola e raggiunse Venezia, sua ultima dimora.

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