Castro, né Obama né Putin ai funerali. Trump: “Cuba migliori, o l’accordo salterà»

29 Nov 2016 9:39 - di Gabriele Alberti

Ai funerali di Fidel Castro non ci sarà Barack Obama e neppure Joe Biden. Lo ha reso noto Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, precisando che “né il presidente né il vice presidente” andranno a Cuba per le esequie del “lider maximo”. Anche il presidente russo Vladimir Putin non andrà alle esequie, come fa sapere il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che spiega come Putin sia impegnato nella stesura del discorso annuale al Parlamento. A guidare la delegazione russa sarà il presidente della Duma Vyacheslav Volodin. 

Ai funerali di Castro né Obama né Putin

A pochi giorni dalla morte di Fidel Castro, Donald Trump si proietta soprattutto al dopo-Castro, da lui definito un “dittatore brutale che ha oppresso il suo popolo”, Donald Trump minaccia di arrestare il disgelo con l’Avana, una delle principali eredità dell’ amministrazione Obama. “Se Cuba non vuole fare un accordo migliore per il popolo cubano, il popolo cubano/americano e gli Usa nel suo complesso, metterò fine all’accordo”, ha twittato. Nessun dettaglio su miglioramenti auspicati, ma è chiaro che si tratta dei diritti umani e dell’economia di mercato. E’ la prima volta che Trump, da presidente eletto, mette nero su bianco quella che finora era stata una promessa elettorale, accompagnata dalla denuncia che l’amministrazione democratica era stata troppo generosa verso l’Avana. L’annuncio del tycoon era stato preceduto nel weekend da una serie di segnali precisi lanciati dal suo entourage. A partire dal neo chief of staff Reince Priebus: “non avremo un accordo unilaterale da Cuba agli Usa senza alcuni cambiamenti nel loro governo. Repressione, mercati aperti, libertà di religione, prigionieri politici, queste cose devono cambiare per avere un rapporto aperto e libero, e questo è ciò in cui crede il presidente eletto e ciò che farà”.

Trump: «Porrò fine all’accordo, se Cuba non lo migliora»

Anche l’ex campaign manager Kellyanne Conway aveva condannato il governo Obama per non aver ottenuto “nulla in cambio” dopo il ripristino delle relazioni diplomatiche nell’estate del 2015. Non tutto il partito repubblicano però è schierato chiaramente con Trump. Lo stesso senatore Marco Rubio, figlio di immigrati cubani anti castristi, e’ stato evasivo su una eventuale abrogazione dei decreti presidenziali di Obama che hanno tolto o ridotto molte restrizioni nel campo valutario, commerciale, turistico, dei trasporti e delle telecomunicazioni. L’ex candidato alle primarie repubblicane ha rivendicato semplicemente “la reciprocità da parte del governo cubano”. Lo stesso Trump rischia di trovarsi in imbarazzo. E non solo per la presunta violazione dell’embargo nel 1988, quando – nonostante la situazione dei diritti umani – pago’ 68 mila dollari ad una società di consulenza americana sotto forma di donazione per crearsi una base d’appoggio nel caso Washington avesse allentato o tolto le restrizioni. Ora invece sente la pressione di molte società americane che hanno investito pesantemente a Cuba dopo le aperture di Obama: grandi compagnie aeree, catene alberghiere come la Starwood, società crocieristiche, internet provider, operatori telefonici. Giganti che non vogliono lasciarsi sfuggire l’occasione di rimettere piede in un’isola che potrebbe diventare una nuova meta del turismo americano, già incrementato nel 2015 (700 mila i visitatori).

Trump gioca duro

Trump per ora gioca duro. Secondo alcuni esperti potrebbe fare marcia indietro su alcuni punti, in particolare quelli legati agli accordi e alla mediazione delle entità statali, in modo da favorire direttamente l’impresa privata. Il capitolo embargo invece spetta al Congresso, dove la maggioranza repubblicana lo ha sempre subordinato ai progressi nel campo dei diritti umani. Anche Obama era stato chiaro su questo terreno: durante la sua storica visita all’Avana aveva stretto la mano a Raul Castro senza rinunciare a marcare le “forti divergenze” che restano ancora sui diritti umani. Ma il suo approccio è diverso: a suo avviso i cambiamenti non possono avvenire dall’oggi al domani, occorre tempo e il processo di disgelo può aiutarlo e accelerarlo. Del resto anche il giudizio su Fidel resta differente: “la storia giudicherà l’enorme impatto di questa singolare figura sulla gente e sul mondo attorno a lui”. Dichiarazione difesa oggi da Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, secondo cui nelle parole di Obama non c’è nessun tentativo di “oscurare o coprire” l’attività del regime castrista.

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