Terremoto, il viaggio degli sfollati tra paura e dolore: “Ma che futuro abbiamo?”

29 Ott 2016 10:37 - di Guglielmo Federici

L’autobus chiude le porte ma il sole appena spuntato non riesce ancora a scacciare il freddo della notte. Fuori dai finestrini scorre Visso, l’ingresso del centro storico transennato, i calcinacci lungo la strada, la chiesa di Sant’Antonio sventrata: la gente volta lo sguardo dall’altra parte, infagottata nei giubbotti pesanti; qualcuno ricaccia indietro le lacrime e si calza ancor di più il cappello. Il viaggio degli sfollati verso il mare inizia qui, in mezzo alle montagne che per molti di loro sono state molto più di una casa. Angelo Calabrò ha 86 anni, è la prima volta che lascia il paese. “Torneremo? Mah, non so che futuro avremo. Dopo il terremoto del ’79 ci misero dieci anni per ricostruire, 12 dopo quello del 1997. Ora le promesse sono tante, ma i fatti?. E poi, pure se lo rimettono a posto, mi dici che andiamo a fare?”.

Sfollati in marcia verso l’ignoto: «Mi manca il paese»

Angelo parla con le lacrime agli occhi di suo figlio e suo nipote. “Non hanno più la casa, non hanno più la la macelleria, non c’è più la gente. Che fanno, restano a fare i ruffiani?”. Il vecchio – si tormenta le mani, mani nodose come solo chi ha lavorato tanto con la schiena piegata a rivoltare la terra può avere. Angelo, ma ora a Sant’Elpidio non avrai più paura. “Io non ho paura del terremoto. E poi lì non ho punti di riferimento, non ho vestiti. Mi manca tutto, la casa, ‘lu paese’, gli amici. Ho visto Visso in tv e, sai, ho pianto. Ho pensato a quanto è bello, anche ora che non c’è più niente”. Da Visso a Porto Sant’Elpidio ci vogliono meno di due ore: ma è come attraversare l’oceano. Ed è incredibile quanto questa varietà di paesaggi e panorami, di tradizioni e storie – che poi è la vera forza dell’Italia – a volte non solo non sia sfruttata, ma spesso neanche capita. Così le gole e i boschi di facci e acero bianco si dissolvono lentamente in morbide colline dalle forme arrotondate, con i filari dei vigneti a proteggere i casali arroccati in cima.

Terremoto: «Il futuro per noi per ora non esiste»

Passa Camerino, altro paese che sta pagando un prezzo altissimo dopo la scossa del 26 ottobre, e Tolentino, l’ultimo baluardo prima della piana. Poi arrivano i capannoni industriali, le multisala, le rotatorie e le case vacanza. E, laggiù, il mare con la bandiera blu agitata dal vento di tramontana, gli stabilimenti e i chioschi chiusi che in questa giornata di sole fanno tanto fine estate. Elisabetta Luccio è seduta con il papà Giovanni in una poltrona nella hall della sua nuova casa. Viene da Pieve Torina e lì, è sicura, tornerà. Ma adesso no. “Stiamo bene, siamo coccolati. Anzi, siamo dei privilegiati, non si poteva stare in macchina. Abbiamo dormito, mangiato, fatto perfino una doccia. E non abbiamo sentito scosse, finalmente”. Ma come ci si sente lontani dalle proprie cose, lontani dalla propria vita? “Non pensiamo al futuro, la verità è questa. Viviamo il presente, e il presente è che la situazione è migliorata. Non siamo stati abbandonati, ora stiamo bene, il problema verrà dopo e allora si vedrà”. Gli hotel scelti per ospitare gli sfollati hanno nomi che sanno di allegria. Di spensieratezza, perché altrimenti che vacanza è. “Venus”, “Belvedere”, “Holiday”, “Mimose”. La gente di Porto Sant’Elpidio li accoglie con uno striscione: “La nostra casa è anche la vostra, benvenuto popolo dei Sibillini”.

Solo i bimbi esplorano e gioccano

Le strutture sono accoglienti, c’è il sindaco ad attendere gli sfollati, il mare è a due passi. “Io amo la natura, tutta la natura. Certo, mi piace la montagna, i boschi, ma non sono come mio marito che ama Visso come il sole”, sorride Rita Rosati sulla sua carrozzina. Dei 60 anni passati a Visso, 43 li ha trascorsi facendo la maestra. “Ma ho fatto anche la mamma. E pure il prete, perché i ragazzi devi portarli a pregare giusto?”. “A me invece il mare non piace – aggiunge la figlia Anna – ci vengo ogni tanto perché mi fa bene ma io amo Visso e la montagna”. Ma tornare adesso no, ho paura“. Nella hall del “Villaggio campeggio hotel residence Holiday”, i bambini fanno quello che fanno sempre: giocano. E si rincorrono, scoprono, annusano la loro nuova casa. “Mamma guarda, c’è anche il televisore”. Escono fuori nel giardino e guardano il mare, poi riprendono a rincorrersi e il terremoto è già un brutto ricordo. Forse. O forse è solo ricacciato indietro, pronto ad esplodere al primo sogno brutto. “Come sto? Si sta bene – risponde Anna Aupino – siamo in cinque e abbiamo due camere e cucina. E’ straniante certo, Pieve Torina, il mio paese, è un altro mondo. Ma ringraziamo Iddio che siamo vivi”. In un angolo della grande sala al centro dell’Holiday, uno spazio che vorrebbe essere quello dei mall americani o forse soltanto una piazza ma che in realtà è semplicemente un punto d’incontro, Giuliano Cola se ne sta in silenzio, la scoppola ancora calzata in testa e i suoi 85 anni portati con gran dignità. C’è qualcosa che non va? “Ci trattano bene, abbiamo tutto”. E allora? “Mi sento fuori luogo, non è il mio posto”. Per gli sfollati inizia un altro viaggio: quello verso un futuro che nessuno di loro sa ancora immaginare.

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