Test nei ristoranti di Bruxelles: un piatto di pesce su tre è falso. E in Italia?

3 Nov 2015 20:02 - di Redazione

A Bruxelles un pesce su tre tra quelli serviti in sushi bar e ristoranti della città, nonché nelle mense delle istituzioni europee, non è quello ordinato. Il più “falsificato” è il tonno rosso (nel 95% dei casi è rimpiazzato da specie tropicali meno costose), poi merluzzo (13%, sostituito da almeno altre sette specie, soprattutto pangasio) e sogliola (11%). Questi i risultati dei test del dna condotti su 280 campioni in oltre 150 ristoranti della capitale europea dagli ambientalisti di Oceana, che ritengono che i loro dati siano «molto indicativi di frodi diffuse». I peggiori si sono rivelati i sushi bar (54,5% di casi), poi le mense delle istituzioni Ue (38,1%) e infine i ristoranti (28,7%) in aree turistiche. Di conseguenza «l’Ue deve urgentemente migliorare la tracciabilità e l’etichettatura dei prodotti ittici», altrimenti sarà difficile arrivare ad una “gestione sostenibile” dei nostri mari, ha detto Lasse Gustavsson, direttore esecutivo di Oceana Europa. Gli stessi europei sono i principali importatori di pesce e frutti di mare al mondo e “il 93% degli stock nel Mediterraneo e il 48% di quelli nell’Atlantico nordorientale sono sovrasfruttati” ha ricordato Gustavsson. Il caso belga inoltre non è isolato: «Secondo le indagini condotte negli ultimi anni da altre organizzazioni, le frodi sono in Italia al 32% e in Spagna al 30%” ha detto il direttore di Oceana Europa, che ha sottolineato la differenza con il caso francese, «che invece, secondo un nostro studio, si attesta al 4%, segno che c’è un’attenzione maggiore anche da parte dei consumatori».

E il pesce servito sulle tavole italiane?

La Commissione europea ha già autonomamente richiesto ai 28 stati membri controlli a campione sul cosiddetto “pesce bianco” (senza cioè pesci come il tonno), basati sul Dna secondo la procedura stabilità all’epoca dello scandalo sulla carne di cavallo, ed i risultati saranno «resi noti entro la fine del mese». Secondo quanto si apprende da fonti europee, sono stati analizzati «oltre tremila campioni sull’intera catena alimentare», ovvero alle frontiere, nelle industrie di lavorazione, tra grossisti e distributori fino alle cucine della ristorazione di massa, ed i risultati preliminari sarebbero “molto meno allarmanti del rapporto” di Oceana, con percentuali di etichettatura infedele «attorno al 10%».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *