Jihadi John colpito da un drone in un raid Usa: è giallo sulla sua morte

13 Nov 2015 10:09 - di Bianca Conte

Jihadi John sarebbe stato ucciso da un drone americano: questa la notizia battuta in tutto il mondo, ma la conferma che sfiora la certezza, tarda ad arrivare. E col passare delle ore aggiornamenti, conferme e smentite si affastellano quasi ininterrottamente: l’ultima informazione sul caso sdice allora che Jihadi John sarebbe ferito, ma ancora vivo: lo riferiscono fonti accreditate dell’Isis, secondo quanto riporta Sky News online. Inoltre, testimoni oculari a Raqqa avrebbero rivelato a Sky di aver visto degli uomini portare il jihadista in ospedale. Ma c’è di più: sebbene la linea ufficiale dell califfato e dei suoi miliziani armati sia quella che vuole Mohammed Emwazi sopravvissuto, la gente del posto ha riferito a SkyNews che l’ospedale locale è stato chiuso al pubblico, e secondo le stesse fonti, questo accade solo quando un militante di alto livello è stato ucciso.

Jihadi John ucciso da un drone Usa?

Eppure, col passare delle ore, il premier britannico David Cameron non conferma la morte di Jihadi John, riferendo che il raid è stato condotto in maniera congiunta con l’intelligence britannica, come «un atto di auto-difesa» in cui, colpire il boia, rappresenterebbe infliggere un «colpo al cuore» dell’Isis. Secondo le prime informazioni, dunque, Jihadi John sarebbe stato ferito da un drone, ma in base a quanto dicono gli ultimi aggiornamenti, non colpito a morte. Il Pentagono del resto, nelle prime ore seguenti la diffusione della notizia da parte di alti funzionari Usa citati dal Washington Post e dalla Cnn, ha fatto riferimento in più di un passaggio a doverose, “ulteriori” verifiche in corso. «Stiamo valutando i risultati dell’operazione di questa notte e daremo informazioni più precise non appena potremo», ha detto il portavoce del Pentagono, Peter Cook. Un alto funzionario, poi, ha aggiunto che il drone avrebbe colpito un’auto sulla quale viaggiavano il boia e altri membri del gruppo di assassini che si fanno chiamare i Beatles per via dell’origine britannica, ma non ha voluto fornire altri dettagli. Dunque, il ricorso al condizionale è ancora quasi un obbligo: e infatti, la Cnn ha ribadito ancora poco fa che la notizia dell’uccisione di Jihadi John, responsabile delle esecuzioni di diversi prigionieri finite in mano ai miliziani dell’Isis, «non può essere assolutamente confermata ufficialmente, perché non ci sono né truppe, né personale di intelligence a Raqqa, dove è stato effettuato il raid». Eppure, solo poco prima fonti militari di alto livello, alla Bbc, avevano rilanciato sulla morte del boia dell’Isis, parlando di «elevato grado di certezza».

Jihadi John: l’identikit del boia

Jihadi John in realtà si chiama Mohamed Emwazi, ed è nato in Kuwait nel 1988, salvo poi trasferirsi con la famiglia a Londra all’età di 6 anni, dove è cresciuto con un fratello e due sorelle, e dove si è laureato in informatica. Date le sue spietate esecuzioni di molti ostaggi occidentali finiti nelle sue mani negli ultimi mesi soprattutto, è diventato in un breve arco di tempo uno degli uomini più ricercati – temuti e odiati – al mondo, specie dopo il video diffuso in Rete della decapitazione del giornalista americano, James Foley, nell’agosto dello scorso anno. Dopo quella brutale esecuzione, ce ne sarebbero state altre: quella del reporter Usa, Steven Sotloff, dell’operatore americano Abdul-Rahman Kassig, dei britannici David Haines e Alan Henning e del giornalista giapponese Kenji Goto. Nei video, utilizzati dai jihadisti del terrore come macabra propaganda delle azioni dell’Isis, Jihadi John annunciava le imminenti esecuzioni degli ostaggi stranieri sempre a volto coperto, nascosto sotto un passamontagna nero, così come completamente nera era la divisa della morte – con tanto di immancabile coltello – indossata dal boia. Un anno dopo l’esecuzione di James Foley, però, il tagliagola naturalizzato inglese venne identificato: quegli occhi della morte non lasciarono dubbi sulla sua identità. E così, mesi dopo la scoperta, i giornali britannici pubblicarono una foto con il suo vero volto, diffondendo i dettagli sul suo passato. Oggi, forse, l’epilogo.

 

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