Niente è più difficile in Italia che abolire un Ente pubblico inutile

3 Ott 2015 8:37 - di Redazione

I paradosso – diciamo- della buona volontà risale al 1998. Quando il Parlamento, fomentato dall’allora Robin Hood civico Raffaele Costa, individuò prima 500 e poi 1000 Enti inutili da cancellare. Per farlo, si istituì un apposito Ente. Inutile, naturalmente. Qualche anno dopo – al momento di lasciare l’incarico- l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti  estrasse dalle grandi fauci della burocrazia le «carte»: tra «eletti» (parlamento, regioni, province, comuni, municipi e circoscrizioni) nominati alla presidenza di Enti ed aziende pubbliche, in Italia si raggiunge la cifra stratosferica di un milione e duecentomila persone. Solo in stipendi circa 20 miliardi l’anno. Di questi, 10 miliardi potrebbero essere tranquillamente tagliati; lo ventilò Milena Gabanelli in un memorabile Report, in inedita complicità col leghista Borghezio.

L’allora ministro  Calderoli a individuò 1.612 enti da eliminare perché «dannosi».

Ma li individuò e basta, dopodiché Calderoli fu narcotizzato, racconta “libero”. Vivono ancora, infatti, i Tribunali delle acque, i Bacini imbriferi montani, gli Ato e i 138 enti parco regionali oltre alla flotta dei consorzi di bonifica. Perché tagliarli, gli enti, è im presa oltre l’umano. Sembra un racconto claustrofobico di Lovecraft, spuntano dal profondo. La prima legge per distruggerli risale al ’56, ma venne inghiottita da decreti e circolari interpretative, mentre gli enti inutili si moltiplicavano. Mentre si discute di riforma Senato (un doppione, quindi inutile, infatti non sarà soppresso …), gira ora un libello, Enti inutili -la rapina agli italiani di cui si parla poco e si sa troppo poco di Antonio Parisi (Imprimatur) che pare da qualche tempo sia diventato, in modo occulto, per molti dell’entourage del dominus della spending re- view Yoram Gutgeld, una sorta di Vangelo laico e Lonely Planet del revisore di spesa.

Anche la spending review di Renzi è alla ricerca di Enti inutili da tagliare

Gutgeld, come i predecessori Cottarelli e Bondi, da mesi è alla ricerca disperata di municipalizzate, comitatì,consigli, consigli, fondazioni, partecipate, comunità montane – inutili- da estirpare. Finora non esisteva uno studio articolato e divulgativo del settore; oggi, nel libro di Parisi, questa gigantesca mappa -regione per regionedi organismi immortali da l’idea di un mondo inesplorato. Sono più di 200 pagine solo di crudi elenchi, tra i nomi degli organismi appartenenti allo Stato o alle sue propaggini territoriali. E c’è di tutto. Si va, in generale, «dagli enti sottoposti al controllo della ragioneria generale dello Stato (aggiornato al 2005) alle aziende controllate dal ministero dell’Economia fino agli organismi e alle società di tutte le regioni italiane». Poi si affonda più nello specifico. Il primo girone infernale è quello degli «enti sottoposti alla Tesoreria unica», cui seguono quelli «soggetti alle misure di razionalizzazione». Poi gli «enti pubblici ed economici» e quindi quelli «pubblici sottoposti al controllo della Corte dei Conti». Dopodiché, ecco gli enti i cui bilanci «vanno annessi agli stati di previsione della spesa dei ministeri» e quindi di quelli allegati «alle leggi di bilancio e di stabilità». Segue elenco sterminato di tutte le amministrazioni pubbliche, enti nazionali di previdenza e assistenza sociale, le società partecipate e controllate dal ministero dell’Economia e regioni. Insomma, un magma vischiosissimo: l’esatto contrario dello spirito con cui Alberto Beneduce, ministro del Lavoro già mussoliniano, creò il primo ente pubblico, l’Iri del «miracolo italiano». Oggi, invece, il cammino della crescita viene percorso dai carrozzoni dei partiti

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