È l’Anas, bellezza. Ed ecco perché adesso sarebbe l’ora di chiuderla

23 Ott 2015 15:01 - di Mario Aldo Stilton

È l’Anas, bellezza. Cosicchè, all’improvviso, scopriamo che all’Anas rubano. Sgomento e incredulità riempono quotidiani e Tv. Il Belpaese si interroga. More solito: tutto molto italiano. Ipocrisia a palate per allocchi smemorati. Perchè l’Azienda nazionale autonoma delle strade, Anas appunto, ha avuto a che fare sin dalla sua istituzione con questo tipo problemi. Se non peggiori. Gestore, dapprima esclusivo, ancor oggi di un groviglio enorme di strade, l’Anas è sempre sopravvissuta a fior di scandali. Qualsiasi  altra azienda, in qualunque altra parte del mondo sarebbe stata chiusa. Ma non lei. Non in Italia. Perchè è l’Anas, bellezza. Che è stata per decenni una delle colonne portanti del sistema politico. Perché con l’Anas tutti hanno dialogato e convissuto. E in molti si sono sporcati le mani. Decine e decine gli scandali.  Talmente tanti da perderne il numero e pure il ricordo. Perchè anche grazie a questa idrovora di pubblico denaro la politica ha potuto vivere, pascersi, riciclarsi e persino rigenerarsi. Perchè l’Anas altro non è che la metafora dell’Italia. Dove tutti si scandalizzano dello scandalo che poi, puntualmente, si ripropone. Dove oggi puoi leggere l’apertura del Corriere della Sera che dà conto  della “rete delle tangenti” per le mazzette gestite dalla Dama Nera calabrese.  Che somiglia a un articolo di Enzo Biagi (“Socialisti col curaro”) sempre sul Corriere, ma del 1979, per altro e ben più potente personaggio calabrese: il già segretario del Psi Giacomo Mancini, accusato di avere brigato, favorito e usufruito dell’Anas per la costruzione, mai completata davvero, della Salerno-Reggio Calabria. Per non dire poi delle gesta di Giovanni Prandini, notabile dc, accusato di essere un collettore di tangenti per la politica che, ammettendo i fatti, spiegò serafico che quei soldi erano per il partito. È l’Anas, bellezza. È modo e maniera nella gestione e nell’assegnazione degli appalti. È modo e maniera nella costruzione di strade e nella loro manutenzione. È un fiume di denaro: enorme e costante. Talmente impetuoso che a volte vanno giù pure gli assi portanti delle infrastrutture che l’Anas costruisce. Come in Sicilia, lo scorso anno, col cedimento di un pilone della A19 Palermo-Catania. Fatto che ci ha ridicolizzati e che ha diviso in due un’isola già martoriata di suo. È l’Anas, bellezza. Perchè la gestione delle strade statali non è che sia solo inadeguata, fa anche parecchio schifo. Perchè i cantieri della Salerno-Reggio Calabria non sono solo uno sperpero, ma uno schiaffo all’intelligenza. Perchè le ditte e gli appalti si susseguono e si inseguono sempre uguali, sempre allo stesso modo. Anche quando sembrano nuovi e diversi. Perchè perciò forse è meglio chiuderla l’Anas. Forse è meglio fare tabula rasa. E ricominciare daccapo. Con una struttura del tutto nuova. Negli uomini e nella mentalità. Non sarà una pancea. Ma almeno, in attesa del prossimo scandalo, ci saremmo tolti st’Anas dalle scatole. Una volta per tutte.

 

 

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