Bomba a Bangkok, dopo un mese di caos, la polizia annuncia: caso risolto

26 Set 2015 14:39 - di Redazione

L’attentatore che ha piazzato la bomba di Bangkok il 17 agosto scorso sarebbe l’uomo straniero nelle mani degli investigatori da quasi un mese, il primo arrestato durante le indagini. Lo ha annunciato il portavoce della polizia thailandese, Prawut Thavornsiri, prima che il presunto responsabile fosse portato al santuario Erawan della capitale – il luogo dell’attentato che ha causato 20 morti e oltre 120 feriti – per una ricostruzione dell’accaduto a beneficio dei media. Adem Karadag, di cittadinanza mai specificata dopo l’iniziale ritrovamento di un suo passaporto turco rivelatosi falso (anche se il cognome è in effetti turco), sarebbe quindi il misterioso uomo dalla maglietta gialla ritratto dalle telecamere di sorveglianza mentre abbandona lo zainetto-bomba pochi minuti prima dell’esplosione. «È una conferma che giunge dai filmati, dai racconti dei testimoni e dalla sua stessa confessione», ha dichiarato Prawut. Durante la ricostruzione di queste ultime ore, a Karadag è stata fatta indossare una maglietta gialla. In precedenza, la polizia aveva sempre negato che Karadag fosse l’attentatore, dopo averlo arrestato durante un raid in un appartamento alla periferia di Bangkok, nel quale furono ritrovati centinaia di passaporti turchi falsi e dei materiali per esplosivi. Anche dopo l’arresto di un secondo sospettato, gli investigatori avevano dato una serie di versioni diverse – tra le quali quella di una fuga all’estero del vero attentatore – mentre le indagini sembrano arrivate a uno stallo. Con oltre dieci mandati di arresto emessi verso uomini di diversa nazionalità, tra investigatori e analisti si è fatta strada l’ipotesi di una “pista uigura” dietro l’attentato, come ritorsione per la deportazione forzata di 109 esponenti di questa minoranza cinese – ma musulmana e turcofona – lo scorso luglio.

La bomba a Bangkok del17 agosto causò 20 morti

Tuttavia, le autorità di Bangkok hanno sempre escluso la pista del terrorismo politico, interpretando l’attentato come la vendetta di una banda criminale che agevolava la migrazione clandestina di stranieri verso altri Paesi, e coinvolgendo nelle indagini anche le “camicie rosse”, gruppo di opposizione al governo. In effetti gli inquirenti hanno fatto un po’ di pasticci in queste indagini, strette tra gli input del governo e le piste politiche e terroristiche. Appena dieci giorni fa gli investigatori thailandesi erano certi che la “mente” dell’attentato fosse fuggito in Turchia, dopo un periodo passato in Bangladesh. Il sospettato, che è di nazionalità cinese ed è stato identificato come Abudureheman Abudusataer – alias “Ishan” – “ha lasciato Dacca (Bangladesh) per Delhi (India) il 30 agosto. Da lì sarebbe volato ad Abu Dhabi, e il 31 a Istanbul. La polizia di Bangkok ha arrestato finora due uomini della presunta gang, uno dei quali ha ammesso di aver consegnato lo zainetto-bomba all’attentatore. Altri 12 mandati di arresto sono stati emessi dalle autorità thailandesi, mentre la Malaysia ha annunciato di aver catturato altri tre sospettati – due malesi e un pachistano – su indicazione degli investigatori di Bangkok. Tutti gli arrestati e i ricercati finora appaiono di religione musulmana, e molti dei quali sono turchi o uiguri, una minoranza turcofona e musulmana che reclama una maggiore autonomia nell’enorme provincia occidentale cinese dello Xinjiang. Molti analisti vedono quindi nell’attentato una possibile “pista figura”, mentre il governo thailandese, forse anche per la scomodità diplomatica del caso, sembra però prediligere come movente la vendetta di una banda di trafficanti di esseri umani.

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