Berlusconi: «Non sono più un ragazzino». E apre a una nuova leadership

19 Mag 2015 12:33 - di Girolamo Fragalà

«Non sono più un ragazzino». La frase di Silvio Berlusconi rimbalza sul web, «che succede?» si chiedono i fedelissimi, «finalmente sta cambiando qualcosa», replicano i delusi del centrodestra in cerca di un nuovo slancio. «Non sono più un ragazzino»: quella del Cavaliere – più che una resa– è una presa d’atto. Perché ci sono molti elementi da valutare quando si guarda al futuro: l’incognita della candidabilità, il fattore anagrafico, la possibilità di riuscire a ricompattare la coalizione. Difficile che da collante possa fare lui, perché sia con Alfano sia con Fitto i divorzi non sono stati consensuali, gli strappi hanno lasciato ferite aperte, le accuse di tradimento sono fioccate dappertutto. In più c’è Salvini che scalpita aspettando il voto delle regionali e la Meloni che continua a radicarsi nel territorio, due forze fresche che hanno dalla loro anche l’età.

Berlusconi padre nobile del centrodestra?

La tentazione è quella di trasformarsi in padre nobile del centrodestra. Ed è da qui che nasce la frase «non sono più un ragazzino», che ripete anche in un’intervista al Quotidiano Nazionale. Non a caso aggiunge di sentirsi comunque obbligato «a rimanere in campo fino a quando non ci sarà qualcuno che mi potrà sostituire nel progetto di dare vita alla maggioranza politica dei moderati. Spero che si faccia vivo presto, anche se al momento non vedo nessuno cui passare il testimone».

La questione dell’erede e della leadership

«Gli eredi non si possono tirare fuori – aggiunge Berlusconi –. Il carisma uno o ce l’ha o non ce l’ha. Ho dato possibilità a tanta gente, ma nessuno ha avuto la spinta carismatica». Le rotture in Forza Italia, prosegue Berlusconi, «sul piano umano sono stati momenti di dispiacere. Però senza tante sorprese». «Ho indicato il partito Repubblicano – chiarisce infine – solo come modello di contrapposizione al partito democratico. È quel che manca in Italia: un movimento leggero, strutturato come un comitato elettorale, al quale aderiscano tutti gli elettori che non votano per la sinistra».

Il rapporto con Renzi

«Non abbiamo cambiato idea sulle riforme. È Renzi che ci ha imposto 17 cambiamenti rispetto al progetto iniziale e quando poi si è trattato di scegliere il massimo garante di questo processo riformatore ha deciso di agire da solo. In quel momento, abbiamo capito che non pensava affatto a lavorare insieme con lealtà, ma solo a un disegno di potere per il quale non aveva i numeri in Parlamento. Era ovvio che le strade si dividessero», ha spiegato il Cavaliere. Queste strade non si rincontreranno: «Renzi non soltanto persegue un disegno di potere ma è e rimane un uomo di sinistra, per quanto con un’immagine più moderna. E come tutte le sinistre, non ha fatto una riforma utile al Paese».

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