Rai, la presidente si riduce lo stipendio ma il dg, al momento, non si adegua

15 Mag 2014 14:54 - di Redazione

L’austerity sbarca in Rai sotto forma di tetto agli emolumenti del suo presidente e dell’intero Cda. Ad annunciarlo è stata la stessa Tarantola, il cui stipendio passa da 366mila a 240mila euro all’anno. I consiglieri ne percepiscono attualmente 66.000 dai 98.000 che guadagnavano fino al 2012. I dirigenti si sono impegnati anch’essi a sforbiciare il proprio compenso in tempi rapidi. L’azienda ne conta circa 300. Di questi, solo 3 – incluso il direttore generale Gubitosi – guadagnano sopra i 500mila uero, 1 tra i 400 e i 500mila euro, 4 tra i 300 ed i 400mila, 34 tra i 200 ed i 300mila, 190 tra i 100 ed i 200mila, 68 sotto i 100mila euro. Per quanto riguarda i 322 giornalisti dirigenti, uno solo – Augusto Minzolini ora senatore e perciò in aspettativa non retribuita – ha un compenso superiore a 500mila euro, 3 si attestano tra 400 ed i 500mila, 3 tra i 300 ed i 400mila, 24 tra i 200 ed i 300mila, 273 tra i 100 ed i 200mila. Infine, 18 stanno sotto i 100mila euro.
Quelli che vive la concessionaria del servizio pubblico non sono giorni lieti. Il duello ravvicinato sui 150 euro di “contributo” chiesto dal governo all’azienda di Viale Mazzini, andato in onda l’altra sera a Ballarò tra  Renzi ed il conduttore Floris, ha avuto una lunga coda avvelenata. Prima un vivace battibecco tra lo stesso premier ed alcuni tecnici subito dopo la trasmissione e poi la smentita di Gubitosi ad un retroscena di Repubblica che accreditava la difficoltà del direttore generale a contattare il premier. “Alle dimissioni non penso proprio”, ha fatto sapere il dg negando qualsiasi contrasto con Palazzo Chigi. Una smentita è una smentita, ma nessuno può negare che all’interno dell’azienda le parole di Renzi non abbiano prodotto malumore e preoccupazione. Non è certo da un premier targato Pd che la Rai poteva aspettarsi una posizione tanto distante dalla “pancia” dell’azienda. Renzi non l’ha corteggiata né blandita. Al contrario, l’ha esortata a privatizzare l’asset strategico di RaiWay, a tagliare gli sprechi e a fare una cura dimagrante in periferia tagliando qualcuna delle venti sedi regionali. Davvero troppo per la Rai se si pensa che solo qualche anno fa un altro premier di sinistra, Giuliano Amato, la definì “l’argenteria della sinistra italiana”.

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