L’Unità bacchetta Renzi. Anche YouDem non segue la linea del Nazareno. Il dissenso fa breccia tra i lettori

23 Gen 2014 13:01 - di Romana Fabiani

Non è casuale se oggi, dalle colonne de L’Unità,  Gianfranco Fassino stuzzica Renzi, lo accusa indirettamente di non aver cambiato verso (come invece aveva promesso prima delle primarie), demolisce punto per punto la riforma elettorale messa a punto con Berlusconi. Il giornale fondato da Antonio Gramsci è sempre meno organico alla dirigenza del Nazareno e non lo nasconde: il direttore Luca Landò rivendica la libertà di opporsi, quando serve, il verbo ufficiale del Pd: «Da quando siamo tornati in edicola nel 2001 con i finanziamenti di editori privati, abbiamo sempre agito con autonomia». Insomma se Renzi non è il proprietario del quotidiano “rosso” non deve pretendere il “sì signore”. L’azionista di riferimento de l’Unità, Matteo Fago, alla vigilia delle primarie dichiarò apertamente che non avrebbe votato per Matteo. Stesso comportamento viene da  tutta l’editoria riconducibile alla sinistra (se si esclude Europa diretta da Menichini) a costo, come nel caso di Youdem, la web tv del Pd, di restare vittima dello spoil system renziano. Chiara Geloni, bersaniana doc, è fieramente all’opposizione e aspetta un incontro con il segretario anche per parlare della linea editoriale e del suo contratto scaduto.

Pasquino non fa sconti e nel pezzo odierno “Troppo conformismo, valorizzare il dissenso”, demolisce il Renzi pensiero a partire dall’Italicum, che non è frutto di nessun mandato elettorale. «Meglio sarebbe che il fiato, anche del segretario del partito e dei suoi sostenitori non si disperdesse in affermazioni sbagliate e in attacchi personali e irrispettosi». Nel merito, poi, la sferzata è ancora più dolorosa: un Parlamento di nominati può piacere soltanto ai nominati, dice il politogo di sinistra un passato da senatore per Sinistra indipendente. L’opposizione interna di Cuperlo e Civati – per la quale Pasquino fa il tifo – «discende anche da una visione del partito, non come “ditta” ma come organismo collettivo».

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