Senza una buona politica, la recessione non allenta la morsa. E l’Italia si disfa

3 Dic 2013 10:03 - di Gennaro Malgieri

Ancor prima che si concluda il percorso che porterà Renzi alla segreteria del Pd, i riflettori si sono accesi sul rapporto che non sarà certamente sereno tra il nuovo leader ed il presidente del Consiglio Letta. Meno male. Così avremo di che almanaccare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Volete mettere: meglio di una verifica parlamentare, di un atteso responso della Corte costituzionale, di un’altra possibile scissione…

L’Italia politica si balocca intorno a queste diatribe, i retroscenisti ci vanno a nozze, il gossip di Palazzo imperversa. E intanto il Paese affoga, giorno dopo giorno. Diciamoci la verità: da due anni a questa parte non un solo problema è stato risolto. I professori di Monti hanno aggravato la situazione; le larghe intese, ristrettesi improvvisamente, non hanno portato i frutti sperati. Si sopravvive malamente. Spesso si muore pure: come in Sardegna, come a Pescara, come a Prato. L’inferno italiano va in onda tutti i giorni nei telegiornali sempre più ansiogeni dai quali non si riesce mai a capire che ne sarà dell’Imu e come bisogna pagare le tasse nuove e vecchie che si abbattono sul nostro capo. Non ci pare proprio che l’Italia stia uscendo dalla crisi, come si affanna a dire quotidianamente Letta.

Il quale ha un altro problema: Renzi, appunto. La sua ombra è oggettiva, inutile negarla. Il Pd ha creato l’ennesimo squilibrio che sarà esiziale per i destini del governo. Quando si presenta come il “dominus” della nuova stagione che dovrebbe aprirsi con la sua segreteria, è inevitabile che il tavolo rischi di saltare. Del resto che lui voglia affrettare la fine della legislatura è noto e farà di tutto per mettere il bastone tra le ruote a Letta. Il premier lo sa e, com’è ovvio, minimizza. Per sua fortuna Renzi non controlla i gruppi parlamentari: ma fino a quando? E’ su questo interrogativo che s’infrangono le già gracili certezze di Letta e di Alfano.

Il leader del Nuovo centrodestra, a cui i sondaggi non sorridono almeno in questo momento, ha pure qualche preoccupazione in più. Quella della sopravvivenza. Da qui alle europee mancano sei mesi: o fa il “grande balzo” o deve faticare le sette camicie per raggiungere quel quattro per cento che gli consentirebbe di portare due o tre parlamentari a Bruxelles. Se dovesse fermarsi sulla soglia, a parte il suo personale destino, quello di tutto il centrodestra in vista delle politiche sarebbe compromesso.

Un quadro non solo in movimento, come si vede, ma dissestato al punto che parlare di riforme è pura  accademia. Viviamo giorno dopo giorno in attesa che qualcosa accada, infilati nel tunnel della recessione che non accenna a placarsi perché non c’è politica in grado di tenerla a bada e cioè di assumere decisioni, di condursi lungo una strada sicura, di prendersi il tempo di cui ha bisogno senza condizionamenti. La politica in cui si esercitano questi simulacri di partiti è soltanto una manfrina che non porta da nessuna parte. O meglio è tesa a farci  accettare morbidamente la catastrofe che non è più soltanto economica, ma civile e morale. Non sappiamo se lorsignori se ne rendono conto, ma viviamo in Paese scollato, nel quale non funziona niente e dove si può morire per assenza di regole, come è accaduto a sette cinesi, vittime dello schiavismo in una Italia che fatichiamo a riconoscere.

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